Dovrebbe essere un momento storico, la fine di un terremoto registrato con il referendum del 23 giugno 2016 e proseguito con l'attivazione dell'articolo 50 il 29 marzo 2017, quando sono ufficialmente iniziati i negoziati per avviare il processo di uscita del Regno Unito dall'Unione europea, durato venti mesi. E in effetti la firma sull'accordo di ritiro, apposta ieri al Consiglio europeo straordinario di Bruxelles dai 27 Stati membri e dal Regno Unito, rappresenta la prima volta dalla fondazione che un Paese dell'Unione europea è a un passo dall'uscita dal blocco.
Eppure le liti e i negoziati non si sono fermati nemmeno ieri e sono destinati a esplodere nei prossimi giorni. L'accordo era stato appena siglato (un incontro durato in tutto 40 minuti) quando il presidente francese Emmanuel Macron ha sollevato in conferenza stampa una delle grandi questioni che riguarderanno il futuro accordo commerciale tra Unione Europea e Regno Unito alla fine del periodo di transizione fissato per dicembre 2020. Si tratta dell'accesso alle acque britanniche per i pescatori europei. «I diritti dei nostri pescatori verranno protetti», ha detto Macron creando ulteriore scompiglio fra i duri della Brexit in Gran Bretagna.
Si apre ora infatti una fase di nuove trattative, altrettanto cruciali, tra Londra e Bruxelles, che dovranno decidere su quale intesa commerciale basare le relazioni future. Ma prima ancora si apre la guerra decisiva sulla Brexit, quella interna al Parlamento britannico che dovrà ratificare l'intesa e si pronuncerà dopo la prima settimana di dicembre, prevedibilmente il 10 o l'11.
Non è un caso che mentre il presidente della Commissione europea Jean Claude-Juncker sottolineava che l'accordo è «il migliore possibile» e la cancelliera tedesca Angela Merkel si diceva «triste» e definiva «tragico che un Paese ci lasci dopo 45 anni», la premier inglese Theresa May abbandonasse i sentimentalismi per dire che «questo è il momento di fare un passo avanti» e che no, lei «non condivide la tristezza della cancelliera né degli altri leader». La leader britannica, incaricata della traversata più pericolosa per i destini del suo Paese, da oggi in poi deve concentrarsi con tutte le sue energie per strappare in Aula il via libera all'accordo di ritiro, a cui - stando alle dichiarazioni dei diretti protagonisti - manca il sostegno di oltre 90 deputati conservatori, oltre a quello dei dieci del partito nord-irlandese Dup su cui conta la premier per governare, di gran parte dell'opposizione laburista (Jeremy Corbyn ha ribadito che l'accordo «è il peggiore di tutti i mondi») e degli scozzesi dello Snp.
Per questo la premier rimette l'elmetto e annuncia che nei prossimi giorni parlerà «direttamente al popolo britannico» dopo aver ricordato le Cassandra che nei mesi scorsi prevedevano che l'intesa con la Ue non sarebbe mai stata raggiunta. Theresa May ha ricordato la voglia degli inglesi di voltare pagina: «Non vogliono più passare altro tempo a parlare di Brexit» e ha sottolineato che l'accordo mette fine «una volta per tutte» alla libera circolazione delle persone. In una lettera aperta agli inglesi, poco prima, la promessa di mettere «cuore e anima» per cercare di vincere la battaglia in Parlamento e di essere convinta «con ogni fibra del suo essere» che l'accordo è quello giusto.
Bocca cucita, invece, sulle sue possibili dimissioni in caso di bocciatura di Westminster, sulle quali si è rifiutata di rispondere. La storia spera di scriverla fino in fondo, contando su una clamorosa ma finora improbabile «happy end». GaCe- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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