Quando ti bruciano viva una figlia e l'assassino esce continuamente dal carcere grazie ai permessi-premio (ma «premio» per cosa?), la rabbia diventa un mostro che rischia di divorare cuore e cervello. Eppure le parole di Mario Luzi sono piene di composta dignità.
Il signor Luzi è il papà della sedicenne accoltellata e distrutta con la benzina dal fidanzato il 24 maggio 2013 a Corigliano (Cosenza). Ora ha deciso di scrivere una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il motivo della missiva? «Mi sento abbandonato dallo Stato». Parole dure ma giustificate dalla triste realtà dei fatti: «A marzo 2016 l'assassino di Fabiana (il suo fidanzato di 17 anni ndr) fu condannato a 18 anni e 7 mesi, pena ridicola per la gravita del reato commesso - spiega il padre della vittima -. Inoltre quest'anno ha ottenuto licenze-premio già in tre occasioni. Mi sento distrutto».
«Tutto questo mette in discussione il significato della parola giustizia - aggiungono i genitori di Fabiana -. Appresa la notizia, ci siamo sentiti male, tanto da dover andare in ospedale. Incrociare il carnefice di Fabiana nel nostro stesso paese ad appena tre anni dalla sentenza, è una cosa intollerabile. Ci sentiamo traditi da uno Stato e da leggi che premiano gli assassini e offendono ulteriormente le vittime e le loro famiglie».
Un caso che segue di qualche giorno un'altra vicenda analoga, dove però a protestare (anche qui avendone tutte le ragioni ndr) è una figlia cui hanno ammazzato il padre. Stessa dinamica: un minore assassino al quale è concesso come premio di festeggiare il compleanno a casa, con tanto di foto di brindisi e balli postate sui social. Immagini di gioia scioccanti per una figlia che ha avuto il padre ucciso a sprangate e che per tutta la vita vivrà il dolore di non poterlo più abbracciare. Il ragazzo del party è stato condannato in primo grado a 16 anni e mezzo per aver trucidato insieme a due complici nei pressi della stazione Piscinoia della metropolitana di Napoli la guardia giurata, Francesco Della Corte. Motivo? «Volevamo rubargli la pistola». Il giudice aveva sottolineato nella sentenza la crudeltà degli imputati, definendoli «indifferenti al male».
Marta, la figlia del vigilantes, ha spiegato di trovare «vergognosa ed assurda» la scelta del permesso premio: «L'assassino di mio padre ha festeggiato in allegria i suoi 18 anni. Io invece non ho festeggiato i miei 22 anni perché ancora provata dall'angoscia. Evidentemente questi ragazzi non hanno compreso la gravità di quello che hanno fatto».
Marta ha aggiunto di aver visto i tre killer del padre «impassibili durante tutto il processo», anche quando descrivevano nei dettagli il delitto, e di aver ricevuto un breve messaggio di scuse solo da uno degli imputati.Vero pentimento o cinica strategia difensiva?
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