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Brunetta torna a casa: dopo 10 anni riprende il filo alla Pa

Dopo aver spinto per un governo di unità nazionale, l'ex capogruppo alla Camera di Forza Italia torna con il ruolo già occupato nel quarto esecutivo Berlusconi

Brunetta torna a casa: dopo 10 anni riprende il filo alla Pa

Un ritorno a casa dieci anni dopo. Per Renato Brunetta, 71 anni, la nomina a ministro della Pubblica amministrazione e dell'Innovazione è il modo per riprendere il filo di un discorso interrotto con la caduta del quarto governo Berlusconi, nel 2011. Paradossalmente per fare spazio a un esecutivo di larghe intese. E ora ritrova l'incarico in un governo di unità nazionale: "Ringrazio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Mario Draghi per la fiducia accordatami. Ringrazio il Presidente Silvio Berlusconi, cui mi legano stima, riconoscenza e affetto. Da domani si torna al lavoro a Palazzo Vidoni, al servizio del mio Paese", ha scritto sul profilo Facebook appena ufficializzata la nomina.

Il progetto, che ha caratterizzato il primo mandato, era quello di una profonda revisione della macchina pubblica, che provocò molte proteste. La battaglia, annunciata contro i “fannulloni”, scatenò infatti le proteste dei sindacati con uno scontro mediatico molto acceso. Brunetta chiedeva di poter licenziare gli statali poco efficienti, in favore di un processo meritocratico. In particolare introdusse il principio di valutazione dei dipendenti pubblici. Nei fatti, al di là degli scontri verbali, la sua riforma era orientata a una profonda revisione del rapporto tra cittadini e Istituzioni. A cominciare dalle innovazioni che oggi sono patrimonio comune: nel 2009 Brunetta annunciò la volontà di “eliminare la documentazione cartacea”, in favore di un processo di digitalizzazione. Con la caduta di quell’esecutivo, Brunetta è tornato al ruolo di deputato.

Da capogruppo al ritorno al Ministero

Ma, dopo le Politiche 2013, è stato indicato di nuovo per un ruolo di primo piano, quello di capogruppo di Forza Italia alla Camera in una legislatura complicata, dovendo gestire prima la nascita del governo Letta e poi il passaggio all’opposizione dopo la rottura con il Partito democratico. Nel 2018, eletto di nuovo alla Camera, ha annunciato di non voler fare ancora il capogruppo: “È un lavoro logorante”. Così è diventato un battitore libero all’interno della pattuglia azzurra a Montecitorio: è stato tra i primi a indicare la necessità di favorire la nascita di un governo di tutti, mentre Giuseppe Conte vacillava a Palazzo Chigi. Le sue prese di posizione hanno attirato critiche: in molti hanno immaginato che puntasse a fare da stampella al Conte 2 o entrare nel Conte Ter. Invece no: dall’autunno aveva chiesto di pensare a un esecutivo di “unità nazionale”, tenendo il punto. Anche sulla recente riforma del Mes si è impegnato affinché ci fosse il voto favorevole del suo partito. Ma la battaglia non ha provocato strappi.

La sua carriera politica, tuttavia, non è iniziata nell'ultimo decennio. Di formazione socialista (è stato consulente dei governi Craxi e Amato), anzi liberalsocialista come si è definito in una vecchia intervista, è stato sempre legato a Forza Italia e al percorso di Silvio Berlusconi. Già alla fine degli anni Novanta era europarlamentare di Fi. Nel 2000, ha corso per diventare sindaco di Venezia, la sua città. Ma il tentativo si è infranto al ballottaggio, quando il candidato del centrosinistra riuscì a vincere con il sostegno della sinistra radicale. Dopo dieci anni, nel 2010, ha ritentato la corsa per assumere la guida della città natia: in quell'occasione ha dovuto accontentarsi di una sconfitta onorevole, ottenendo più del 42% dei voti, contro Giorgio Orsoni, andato sopra il 51% al primo turno.

Ma questo non ha fermato il suo cammino politico, che lo ha riportato, seppure in un governo totalmente diverso, al Ministero della Pubblica amministrazione.

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