Bruxelles e i musi lunghi dei 27. "Dazi? Intesa non vincolante"

Nota finale diversa da quella Usa: niente tariffe su farmaci e chip, non esclusa la web tax. Macigno da 11 Paesi (Francia e Italia): serve uno scudo per l'acciaio

Bruxelles e i musi lunghi dei 27. "Dazi? Intesa non vincolante"
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Tecnicamente, ieri Bruxelles ha ricevuto un non-paper da 11 Stati membri, compresa l'Italia. Un documento informale che pesa però come un macigno sul tavolo della Commissione europea e anche sull'unità "politica" del continente. Dopo l'escalation retorica capeggiata dalla Francia - il premier Bayrou aveva denunciato la "sottomissione" dell'Ue alle richieste di un Trump intento a ricalibrare ad ogni costo l'interscambio tra Vecchio e Nuovo continente senza neppure distinguere tra beni e servizi - altri Paesi hanno alzato il tiro. E stavolta nel mirino non c'è tanto l'America del tycoon. Ma le modalità di gestione della trattativa e il suo prosieguo; necessario, dato che la stessa Commissione ieri ha ammesso che "l'accordo politico del 27 luglio non è giuridicamente vincolante". Servono dei passaggi legali, per formalizzarlo. Si negozierà ancora con l'America, che su acciaio e alluminio ha lasciato la tariffa doganale al 50% eccezion fatta per i rottami.

A chiedere dunque a Bruxelles di mettere subito a punto uno "scudo" per l'acciaio, vista l'incertezza, oltre a Francia e Italia sono Austria, Belgio, Bulgaria, Grecia, Lussemburgo, Polonia, Romania, Slovacchia e Spagna. Non la Germania, primo produttore siderurgico dell'Ue, con il cancelliere Merz fuori dal gruppo degli 11 ma comunque "insoddisfatto" dell'accordo complessivo con gli Usa, al punto da paventare in patria l'impatto negativo dell'intesa sulla "locomotiva" tedesca. Gli "11", ognuno con le sue sfumature, puntano a riportare le lancette ai livelli 2012-2013. Meta per cui, dal 1° gennaio '26, non potranno superare il 15% le importazioni per gli acciai piatti, il 5% per gli acciai lunghi e il 15% per l'acciaio inossidabile rispetto alla domanda. Contromisura protezionistica "flessibile" in base all'andamento del mercato.

Ma non è il solo dato che fa tremare von der Leyen e i suoi sherpa in trattativa. Sulla graticola ci sono le curiose dissonanze tra la versione dell'accordo "scozzese" sbandierata da Washington e il sunto "bruxellese"; in mancanza di un comunicato congiunto, ci sono difformità non secondarie. Microchip e farmaci, secondo la Commissione non sarebbero "tassati". Per Washington, sì: dazi al 15%. Nella nota Ue non figura poi alcun impegno continentale sulla digital tax, che colpisce i ricavi delle Big Tech americane. "L'accordo non cambia il diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale", ha spiegato ieri il portavoce per il Commercio della Commissione, Olof Gill. Per l'America, l'Ue si è invece impegnata a non tassare i giganti del web. Non è così.

Incertezze che si sommano. E sfilacciano l'iniziale compattezza dei 27 sul mandato affidato al Commissario Sefcovic e agli sherpa. In cinque mesi hanno raccolto i pareri delle cancellerie, messi a punto da Von der Leyen. Nel fare sintesi, non può avere scompaginato più di tanto le indicazioni dei leader, inclusi quelli che ora alzano il sopracciglio ma che nel 15% vedevano una soglia digeribile. Tanto che Sefcovic ha dato una stilettata alle capitali più irrequiete: erano costantemente informate degli sviluppi. Nel fuoco amico, la Commissione ieri ha aggiornato i 27 ambasciatori presso l'Ue sulle singole "schede" dell'accordo, in attesa di un testo congiunto con gli Usa. Gill ha rivelato che "la richiesta" di Trump era di dazi generalizzati al 30%. Tra mediazione e insoddisfazione, l'Ue è tornata però un mosaico di posizioni. Spaccata tra chi plaude all'intesa che assicura un certo livello di prevedibilità nelle relazioni commerciali e chi chiede alla Commissione un immediato cambio di rotta, cominciando a prevedere contromisure di filiera puntellando le esigenze delle imprese con aiuti da predisporre con urgenza.

Da Trump, attesi i primi decreti esecutivi a giorni.

Il Financial Times vede una "resa dell'Unione"; il New York Times si è spinto a dire che il patto ha dato "a Trump molto di quello che voleva". Per la Polonia di Tusk, l'accordo è comunque meglio di una guerra commerciale insensata.

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