Il bianco e il nero

"Fa bene", ​"Ma il programma dov'è?". Botta e risposta su Calenda

Carlo Calenda continua a creare scompiglio nel campo del centrosinistra. A tal proposito, ecco le opinioni degli analisti Alberto Castelvecchi e Massimiliano Panarari

"Fa bene", ​"Ma il programma dov'è?". Botta e risposta su Calenda

Le intemperanze di Carlo Calenda mettono continuamente a rischio la nascita del "campo largo" di centrosinistra che Enrico Letta sta faticosamente cercando di costruire. A tal proposito, per la rubrica Il bianco e il nero, abbiamo sentito le opinioni di Alberto Castelvecchi, analista e e docente di Comunicazione, e di Massimiliano Panarari, professore di Sociologia della comunicazione e Comunicazione politica Università Mercatorum di Roma.

Calenda è un vero uomo di sinistra oppure no?

Castelvecchi: “Calenda è un uomo di centro, un liberal che a suo tempo è entrato nel Pd cercando di accampare le sue posizione e ne è uscito in polemica col Pd. Attualmente è diventato l'uomo necessario, una volta venuta meno l'alleanza col M5S. Si tratta di un apparentamento non tanto di vocazione politica, ma di un cartello elettorale”.

Panarari: “No, lui stesso si definisce un liberale moderato. A volte mescola delle sensibilità di tipo differente, ma non è un uomo di sinistra per sua stessa autodefinizione. È un centrista progressista, liberale soprattutto in materia di diritti civili, ma non possiamo dire che sia di sinistra”.

Il PD ha fatto bene ad allearsi con lui?

Castelvecchi: “Il matrimonio tra Calenda e il Pd è solo di convenienza. Calenda ha ottenuto un peso del 30% nei collegi uninominali che il Pd gli ha dovuto concedere perché si è trovato senza una consistenza numerica come quella che poteva dargli il M5S. Per il Pd e per Enrico Letta, quindi, si tratta di un matrimonio di necessità. Calenda, conscio di questo, ha alzato la posta e ha ottenuto tutto ciò che poteva ottenere”.

Panarari: “Per il Pd è indispensabile costruire un'alleanza quanto più larga possibile. Naturalmente, questo è un tema problematico dal punto di vista della realizzazione e della convivenza tra forze che hanno dimensioni e caratteristiche programmatiche e valoriali differenti. È una situazione molto soggetta a conflitti interni e a una coperta che viene tirata da una parte e dall'altra. Il patto elettorale con Calenda, ribadendo l'asse preferenziale sulla base dell'Agenda Draghi, è indispensabile per il Pd e serve a connotarlo come continuatore di tale Agenda, cosa oltretutto non completamente condivisa dalla sinistra interna”.

Un partito che candida esponenti ex forzisti può essere un valore aggiunto per il centrosinistra?

Castelvecchi: “È un partito di centro che vuole attuare delle riforme economiche e una politica liberal. È, quindi, una casa che, nella fluidità post-ideologica, può ospitare tranquillamente gli ex forzisti anche perché essere di centro e riformisti era uno dei tanti cromosomi che facevano parte di Forza Italia. Sull'altro versante, ricordo che Berlusconi ha detto che se Matteo Renzi vuole costruire il vero centro deve andare a costruirlo in Forza Italia. Ci sono delle zone di sovrapposizione per cui non trovo scandaloso che Carfagna o Gelmini confluiscano in Azione. Certo, loro e gli altri forzisti dovrebbero essere consapevoli del fatto che loro condividono molto poco dei cromosomi di sinistra”.

Panarari: “È un valore aggiunto se riesce a traghettare gli elettori moderati e se riesce a presentarsi come l'erede della tradizione liberale di Forza Italia che oggi è stata sacrificata diventando il junior partner di un'alleanza in cui la destra populista e sovranista è larghissimamente maggioritaria e ha l'egemonia politico-culturale della coalizione. La scommessa di Calenda è quella di intercettare questi voti e riuscire a portarli verso sinistra. Non è detto che riesca perché i voti in uscita dal centro del centrodestra si sarebbero convogliati più facilmente su un terzo polo oppure su un cartello elettorale di tipo centrista. Anche Letta sta facendo una scommessa il cui esito non è scontato e ha l'obiettivo di rendere competitivo un centrosinistra che parte sfavorito”.

Calenda fa bene a imporre l'Agenda Draghi?

Castelvecchi: “No, come non fa bene il Pd a rifarsi all'Agenda Draghi che era quella di un eccellentissimo servitore dello Stato, un banchiere con senso della società politica, ma era pur sempre un governo di emergenza naturale per superare la crisi Covid e attuare il Pnrr. Il prossimo governo, invece, sarà o di centrodestra o di centrosinistra e dovrà fare delle scelte politiche, dando garanzie di stabilità nazionale e internazionale ma con due filosofie diverse. Draghi, invece, essendo all-in, invece, cercava di soddisfare tutti. È, dunque, sbagliato imporre l'Agenda Draghi perché vorrebbe dire che non c'è più distinzione politica. Sarebbe, dunque, opportuno che Calenda e Letta ci dicessero qual è l'Agenda del centrosinistra da contrapporre a quella del centrodestra. Continuare a parlare di Agenda Draghi significa che si costringe Mario Draghi a fare da ombrello protettivo delle insufficienze della sinistra, cosa che non intende fare”.

Panarari: “Sì, se il patto non viene smentito successivamente. È stato un risultato importante dal punto di vista programmatico perché gli consente di presentarsi come il difensore principale dell'Agenda Draghi. Ma non solo. Questo patto gli ha permesso di ottenere una serie di condizioni favorevoli, dal punto di vista anche dei collegi”.

Il Pd può fare a meno di Bonelli e Fratoianni?

Castelvecchi: “Il Pd, disegnato da Enrico Letta, un leader federatore, non può scaricare del tutto la sua anima di sinistra, sindacale e ambientalista. Nel disegno di Letta sarebbe possibile mettere insieme una coalizione che va da Bonelli e Fratoianni fino a Calenda, Carfagna e Gelmini. A me ricorda quella che Occhetto definì 'la gioiosa macchina da guerra' che, poi, naufragò sugli scogli dell'insufficienza elettorale. Credo che non solo per tatticismi, ma per necessità di creare un fronte ampio, Letta non potrà scaricare del tutto Fratoianni e Bonelli. Se lo farà, li consegnerà piedi e braccia accoglienti del riottoso duo Conte-Grillo”.

Panarari: “No, si ripresenterebbe lo stesso problema di prima perché il Pd deve allargare il più possibile la coalizione, coprendosi sia al centro e di non lasciare praterie libere a sinistra.

Dal momento che, tra l'Unione Popolare di De Magistris e il M5S di Giuseppe Conte, c'è molto affollamento, il Pd non può rinunciare al cartello rosso-verde”.

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