Dal califfo ai curdi, tutti i nemici del Sultano

Erdogan deve fare i conti con scontri interni e la guerra con i jihadisti

Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul
Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul

Nessuno deve stupirsi più di tanto dell'attentato di piazza Sultanahmet: la Turchia è infatti oggi un Paese non solo in guerra contro l'Isis, ma circondato da nemici, lacerato all'interno da una guerra contro la minoranza curda e destabilizzato da uno scontro politico senza esclusione di colpi tra il presidente Erdogan e l'opposizione. Per giunta, dopo un lungo periodo di forte espansione, è in preda a una crescente crisi economica.Tutto è cambiato nel giro di pochi anni. Dopo che nel 2003 vinse per la prima volta le elezioni alla testa del suo partito islamico moderato Akp, Erdogan fu a lungo il beniamino dell'Occidente. Fu lui a chiedere l'adesione alla Ue, a ridimensionare il potere dei militari, a introdurre riforme economiche liberiste, a cercare un compromesso con i Curdi, a inaugurare una politica estera basata sul principio «nessun problema con i vicini». Ma dopo il terzo successo consecutivo alle urne, hanno cominciato ad emergere le sue tendenze autoritarie. La Turchia ha non solo subito una progressiva deriva islamista, che deve aver fatto rigirare il «laico» Atatürk nella tomba, ma è diventato un Paese dove la giustizia è spudoratamente manipolata dal governo, la libertà di stampa è virtualmente soppressa e Erdogan, fattosi eleggere capo dello Stato dopo un decennio da primo ministro, sta manovrando per modificare la Costituzione e rimanere al potere per i prossimi dieci anni. Per conquistare i favori dei nazionalisti in vista delle elezioni dello scorso novembre, che hanno consentito all'Akp di riconquistare la maggioranza assoluta persa in giugno, ha lanciato a fine dicembre contro i Curdi una offensiva di una ferocia senza precedenti. Nello stesso tempo, il governo ha accusato di sedizione Salahattin Demirtas, il carismatico leader del Partito democratico del popolo che in giugno aveva fatto perdere all'Akp la maggioranza assoluta in Parlamento e ora sta ostacolando il cammino di Erdogan verso la dittatura. Per spiegare la sua volontà di instaurare un regime presidenziale, questi ha perfino citato positivamente l'esempio di Hitler (facendo poi marcia indietro).Sul piano internazionale, la Turchia, da pilastro orientale della Nato ai tempi della guerra fredda e alleato di Israele in funzione antiaraba, si è trasformata in un Paese inaffidabile, che prima ha aiutato sottobanco l'Isis e ora sembra deciso a fargli guerra, che abbatte un aereo russo senza un valido motivo provocando l'ennesima crisi internazionale e che, nel complicato puzzle mediorientale, fornisce spesso il suo appoggio a forze dichiaratamente antioccidentali, come i Fratelli musulmani o il governo libico di Tripoli. I conflitti in cui è coinvolta sono tanti, che l'attentato di ieri non è necessariamente opera dell'Isis. In seguito a tutto ciò, i negoziati per l'adesione alla Ue, avviati quando Erdogan era ancora un partner rispettato, erano stati congelati da tempo. Ma poi è subentrata la crisi dei profughi siriani iracheni ed afghani, che hanno scelto di passare dalla Turchia per riversarsi in Europa, e Angela Merkel è corsa ad Ankara per «comprare» l'aiuto di Erdogan a fermarli in cambio di 3 miliardi di euro e della riapertura delle trattative.

Finora, a giudicare dal continuo flusso di migranti e ai continui naufragi, questo aiuto non si è materializzato. L'ondata internazionale di solidarietà può aiutare momentaneamente il governo turco, ma difficilmente inciderà sull'ostilità della maggioranza degli europei ad accogliere un Paese musulmano.

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