Politica

Il camaleontismo del M5s

I pentastellati del M5s attuano un opportunistico trasformismo

Il camaleontismo del M5s

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: la frase è di Tancredi, ma nell’immaginario collettivo viene attribuita allo zio, il principe Fabrizio di Salina. È il manifesto non solo di un capolavoro assoluto della letteratura italiana, Il Gattopardo, ma anche di un’epoca, di un retaggio mentale, di una comunità nazionale non solo meridionale. E che c’entra con il recente risultato del Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali? Prima che il lettore salti sulla sedia chiariamoci: non stiamo attribuendo ai vincitori del recente turno amministrativo il benché minimo gattopardismo, inteso come opportunistico trasformismo, anzi. Ma questo M5S, padre dell’esplosione delle liste civiche (basta ricordare i famosi meet up degli amici di Beppe Grillo) è il camaleonte della politica italiana. Si adatta al territorio della battaglia come mai prima in passato. Ed elezioni che sembravano ostiche come quelle comunali diventano il nuovo boom del “partito giallo”. A Roma il volto pulito e deciso di Virginia Raggi deve indicare i cosacchi pronti a far abbeverare i cavalli nelle fontane di San Pietro, i barbari che non saccheggeranno Roma (anche perché non c’è rimasto nulla da saccheggiare), ma proveranno a risanarla e dai sette colli tenteranno l’assalto al cielo della politica: Palazzo Chigi.

M5S a Torino

A Torino il Movimento 5 Stelle si presenta con Chiara Appendino, capace una volta di far perdere le staffe in consiglio comunale al compassato Piero Fassino. Laureata alla Bocconi di Milano, esperta di bilanci, uno stage alla Juventus e solidi rapporti con Confindustria Piemonte. Propugnatrice di una nuova politica industriale per la città della Mole, sembra in grado di rendere la vita molto dura al Pd al ballottaggio. E di intercettare il sentimento di una città molto conservatrice, retta negli ultimi anni dalla “santa alleanza” tra due blocchi di potere granitici: il partito comunista e la Fiat. A Napoli il Movimento 5 Stelle non poteva appoggiare Luigi de Magistris, per non venir meno al pilastro della contrarietà ad ogni alleanza con partiti o movimenti altri. Ma quando ha capito che il sindaco uscente rappresenta una sintesi anche di alcune istanze del grillismo, gli ha opposto un candidato, Matteo Brambilla, con caratteristiche non troppo compatibili con l’elettorato napoletano: ingegnere, brianzolo, residente a Napoli da dieci anni e tifoso della Juventus.

E laddove non arriva al ballottaggio, il Movimento 5 Stelle fa spesso da terzo incomodo che potrebbe tornare però comodissimo al ballottaggio. A Milano il 10% dell’avvocato Gianluca Corrado sarà decisivo nel derby tra manager, cioè Beppe Sala (41,69%) e Stefano Parisi (40,77%). A Bologna i voti presi da Massimo Bugani (16,59%) faranno pesare la bilancia tra il Pd Virginio Merola (39,46%) e la leghista Lucia Borgonzoni (22,27%). Lo stesso scenario si ripete con varianti sul tema a Benevento (dove arriva al ballottaggio l’highlander Clemente Mastella), a Brindisi, a Crotone, a Grosseto, a Olbia, a Pordenone, a Savona e a Trieste. Intanto, dopo il voto del 5 giugno, il Movimento piazza la sua bandiera su altri quattro Comuni: Dorgali (Nuoro), Grammichele (Catania), Fossombrone (Pesaro-Urbino) e Vigonovo (Venezia). Gli unici capoluoghi di provincia a 5 Stelle a tutt’oggi sono la Parma del reprobo Federico Pizzarotti, la Livorno dell’ultraortodosso Filippo Nogarin e Ragusa governata da Federico Piccitto. Presto potrebbero aggiungersi all’elenco la Capitale d’Italia e forse Torino. E allora il discorso cambierebbe.

E probabilmente non nel senso inteso dai protagonisti del Gattopardo. Più che Tomasi di Lampedusa, il camaleonte a 5 Stelle può essere rappresentato da un altro siciliano, Pirandello: uno, nessuno e centomila…

Commenti