«È la vittoria più dolce, abbiamo sconfitto anche i sondaggi e i commentatori» nota deliziato David Cameron. E in effetti non poteva essere più dolce per il primo ministro uscente la riconferma che sarà ancora lui a sedere al numero 10 di Downing Street per i prossimi cinque anni. I Conservatori, contro ogni rilevazione e previsione della vigilia, strappano la maggioranza assoluta: 331 seggi (il 36,9%) contro i 232 del Labour (30,4%), i 56 dello Scottish National Party (4,7%) gli 8 dei Liberaldemocratici (7,9%) e l'unico seggio vinto dall'Uk Independence Party (12,6%). In un colpo solo «re» Cameron si disfa dei suoi tre avversari, tra cui due acerrimi nemici politici: nell'ordine gettano la spugna, a spoglio ancora in corso, appena un'ora dopo la certezza dell'ampia vittoria dei Tory, il leader dell'Ukip Nigel Farage, che è stato la principale minaccia a destra di Cameron, poi il leader dei LibDem Nick Clegg, finora suo vice nel governo di coalizione, e infine lo sfidante numero uno, il laburista Ed Miliband, umiliato con il peggior risultato dal 1987. Tre teste che rotolano e tre partiti da ricostruire.
Più che una vittoria, è un trionfo. È la prova che, nonostante l' austerity e le Finanziarie lacrime e sangue, gli elettori hanno saputo riconoscere che la politica di Cameron ha garantito al Regno Unito la crescita economica più forte in Europa, più veloce fra i Paesi del G7, e quella ripresa che ora potrà essere completata con il congelamento delle tasse fino al 2020 (come promesso), la creazione di due milioni di posti di lavoro e la tutela del servizio sanitario pubblico, seppur ridimensionato nei costi e negli sprechi. È un trionfo non solo perché le aspettative della vigilia erano molto basse. Ma perché gli elettori di destra si sono mostrati responsabili: non hanno disperso i loro voti a favore del partito anti-europeista e anti-immigrati di Nigel Farage, a differenza degli elettori di sinistra che si sono spaccati tra laburisti al Sud e nazionalisti scozzesi al Nord. Non solo: il rischio di un risultato incerto (e l'insolito sole di maggio nella piovosa Gran Bretagna) hanno spinto il 66,1% degli elettori a recarsi alle urne, la più alta percentuale degli ultimi diciotto anni dopo la valanga Blair del '97. Un'ulteriore apertura di credito per il premier, che potrà anche vantarsi di avere la fiducia del Parlamento più rosa di sempre (oltre il 30% di deputate contro il 22% del 2010).
Cameron stravince e salva pure il bipolarismo, marchio di fabbrica della politica made in Britain . Aveva chiesto altri cinque anni «to get the job done », per finire il lavoro. E gli inglesi glieli hanno accordati. Il compito era arduo anche dal punto di vista psicologico, visto che il premier ha avuto diverse spine nel fianco: non solo i Laburisti storici avversari ma anche i nuovi competitor all'interno della destra, gli elettori dell'Ukip, che lungo la strada verso le elezioni gli hanno sottratto due deputati, creando grande caos mediatico e un grave danno d'immagine, l'impressione che le defezioni fossero un'emorragia solo all'inizio. Cameron alla fine è riuscito ad arginarli anche grazie alla trovata di garantire per il 2017 un referemdum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, un voto che darà ai cittadini la possibilità di pronunciarsi. La Ue tribolerà fino a quella data e Cameron avrà maggiore potere contrattuale.
Ma la vittoria dei Tory è la vittoria di una linea economica che alla fine ha pagato: sotto il governo del premier Cameron e del Cancelliere dello Scacchiere George Osborne (riconfermato nella nuova squadra, insieme con Philip Hammond agli Esteri e Theresa May agli Interni) il Regno Unito è cresciuto e ha ridotto la disoccupazione al 5,6% e portato il rapporto deficit/Pil al 5%. Lo stratega dei Conservatori Jim Messina, preso in prestito dal team di Obama (che ieri si è congratulato con Cameron per «l'impressionante» successo) aveva avvertito: ogni giorno passato senza parlare di economia sarebbe un giorno sprecato. I Tory hanno battuto sul tema e ce l'hanno fatta, anche grazie alla scarsa affidabilità che gli elettori hanno attribuito a Miliband e al Labour sull'economia, dopo decenni di folle spesa pubblica. Non a caso ieri la Borsa di Londra, che insieme alla regina tira un sospiro di sollievo, ha chiuso a +2,32%.
Ora però Cameron si troverà di fronte una grossa sfida. Il boom dei nazionalisti scozzesi che hanno fatto terra bruciata ai Laburisti e incassato un bottino di 56 seggi su 59 in Scozia mostra un Paese spaccato in due: il Nord rosso dell'Snp di Nicola Sturgeon e il Sud blu, conservatore. L'ex premier scozzese Alex Salmond, che rimette piede a Westminster, avverte: «Il leone di Scozia ha fatto sentire il suo ruggito». Ma Cameron non si tira indietro e ha già garantito che rispetterà le promesse sulla devolution : «Lavorerò per un solo Regno Unito».
Twitter: @gaiacesare
L'affluenza è stata la più alta degli ultimi 18 anni: Blair nel '97 fu eletto con una partecipazione del 71%
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