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Francesco Schiavone, il camorrista che si è fatto da sé (ma avrà ben poco da svelare)

Anziano, malato, sepolto dagli ergastoli, decide di confessare fuori tempo massimo. Già i suoi figli hanno "cantato" prima di lui

Francesco Schiavone, il camorrista che si è fatto da sé (ma avrà ben poco da svelare)

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Il camorrista che si è fatto da sé (ma avrà ben poco da svelare)

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E poi c'è chi dice che il 41bis non serve. Se oggi - anzianotto, malato, sepolto dagli ergastoli - Francesco Schiavone ha scelto di saltare anche lui la barricata e scendere a patti con lo Stato, è colpa anche del carcere duro dove stava sepolto. Ancora peggio del 41bis: «Sandokan» era fino a oggi ospite delle «aree riservate», reparti non previsti da nessuna legge dove la deprivazione sensoriale è quasi totale. Trattamento in grado di piegare anche un duro come lui.

Il problema è che il pentimento di Schiavone rischia di arrivare fuori tempo massimo, quando di verità inedite da offrire allo Stato ne sono rimaste poche. Ben prima di lui hanno scelto di «cantare» i suoi figli e soprattutto suo cugino Carmine, il «ragioniere» che teneva i conti del clan, e che ha raccontato per filo e per segno il mercato di rifiuti tossici che per decenni - ben più della droga - ha arricchito i Casalesi. Nella trattativa con lo Stato, insomma, il vecchio boss potrebbe avere poco da mettere sul tavolo, e poco da incassare come ricompensa. Però l'area riservata e il 41bis diventeranno solo un ricordo.

Solo un ricordo, d'altronde, è da un pezzo l'epoca in cui sull'impero dei Casalesi sembrava che il sole non dovesse mai tramontare. A regnare sulla vecchia zona dei «Mazzoni», le palafitte costruite su paludi ed acquitrini, Schiavone era arrivato con piglio efficiente del self made man, senza quarti di nobiltà camorrista alle spalle. Inizi malavitosi un po' oscuri, con le truffe alle assicurazioni sulle auto, e salto di qualità quando diventa uno dei quattro discepoli del padrino Antonio Bardellino. I quattro moschettieri di don Antonio sono Michele Zagaria, Ciccio Bidognetti, Vincenzo De Falco e lui, Schiavone. Il più cupo, ombroso, diffidente. Il più rapido a prendere il potere quando Bardellino deve emigrare in Brasile, dove viene raggiunto ed ammazzato: da lì parte un torrente di sangue che farà decine di morti, tra vendette e lotte per il potere.

Lui, implacabile, su quelle montagne di morti costruisce il suo potere: ma anche su rapporti di ferro con la politica ruspante che amministra la Terra dei fuochi, che impara a chiudere tutti e due gli occhi sulle campagne diventate discariche di veleni. Basti pensare che la prima volta che provano ad arrestarlo devono andare a cercarlo a casa di un vicesindaco democristiano, e lui - messo sull'avviso - taglia la corda dalla porta posteriore. E sarebbe incompleto il suo ritratto se non si ricordasse anche la storia dolorosa e controversa di Nicola Cosentino, «Nick l'Americano», deputato casalese di Forza Italia, che da un anno è in carcere a scontare una lunga condanna proprio per i rapporti con Sandokan.

Lo Stato un po' alla volta si è svegliato, sono stati scritti libri di successo, chi nel frattempo non era finito sottoterra è stato arrestato. Nel luglio del 1998 toccò a lui, a Schiavone, stanato da un bunker sotterraneo. Da allora, ventisei anni di sbarre, ferri, porte blindate, mentre uno dopo l'altro compari e parenti si arrendevano ai pm.

Ora anche Sandokan ha deciso di averne avuto abbastanza.

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