Un mese di calcio deciso dai rigori. Donnarumma ci regala la coppa. È la storia incredibile, feroce e bellissima di questo sport. Londra, luglio, giorno undici. Italia campione d'Europa. È vero, tutto splendidamente vero. Abbiamo vinto in casa dei maestri. Abbiamo vinto nel loro teatro. Gli abbiamo fatto annusare il profumo delle viole e poi gli abbiamo presentato un mazzo di crisantemi. Hanno ballato senza musica, cantato senza voce, hanno lerciato strade e muri, hanno aggredito ubriachi della loro ignoranza civile, usciti dall'Europa si risvegliano naufraghi sulla loro isola, respinti dalla nostra squadra di cuori coraggiosi.
Sembrava tutto maledettamente compromesso dal gol di Shaw, fulmineo e fulminante dopo centoventi secondi, la partita appena cominciata poteva già finire, il gol ci aveva stesi, come anestetizzati, avevamo smarrito lucidità e idee eppure Donnamarumma non aveva effettuato una sola parata per un'ora, gli inglesi con la presunzione di sempre, si erano illuminati di immenso e di nulla, ritenendo di avere la coppa in mano.
Il nostro risveglio è stato lento, è arrivato tardi ma è arrivato, Jorginho e Verratti hanno diretto il gioco, Chiesa ha trascinato la squadra, in affanno per l'inconsistenza di Immobile, spento, confuso e confusionario, così Barella fuori giri e fuori posizione. Il pari di Bonucci, con un fallo di rigore su Chiellini, è stato voluto fortissimamente e l'Inghilterra ha dato segni di disorientamento e paura con alcune sceneggiate, Sterling capocomico dei tuffi, un repertorio inedito per le loro abitudini.
I supplementari hanno ribadito il film, inglesi zitelleschi per nervosismo, azzurri più convinti con gli innesti di Bernardeschi e Belotti. Ancora fatica, ancora sofferenza e battaglia su ogni pallone, Chiellini in edizione Cannavaro mondiale di Germania e la squadra finalmente unita, compatta e attenta. Spiace per Elisabetta regina, spiace per William il principe, per Tom Cruise, la mission era davvero impossibile. Spiace per certi nostri salotti raffinati e per le tristi redazioni giornalistiche che non gradivano la vittoria degli azzurri temendo il carnevale degli attuali governanti. Ma è così se gli pare.
Domenica bestiale, lunghissima, attese feroci, noi droni umani sui prati verdi di Wimbledon e Wembley. Pausa mare, spiagge improvvisamente svuotate, televisori accesi dovunque, ventilatori e aria condizionata a manetta, maxischermi da tinello, tutti fermi, un popolo radunato per la Patria, questo riesce a fare lo sport, il calcio da sempre, il tennis da poco. Domenica italiana tutta, senza un solo pensiero alle varianti, all'aumento di luce e gas, nemmeno una parola per il decreto Zan, palline gialle e palloni multicolor al centro delle tavole, tra angurie e discussioni, imprevedibili esperti di lungo linea, improbabili docenti del quattro-tre-tre.
La coppa parte per Roma, Sergio Mattarella rivive la stessa gloria di Sandro Pertini, lo stesso giorno, undici di luglio, trentanove anni dopo: allora la sera mondiale di Madrid, stavolta la notte europea di Londra, campioni di molto, di tutto, dopo le vergogne e l'umiliazione del duemila e diciotto. Un'altra Italia, senza fuoriclasse, senza soubrette, proclami e presunzioni ma un gruppo di ragazzi freschi di gamba, veloci di cervello, gioventù e maturità assieme. Abbiamo vinto contro una squadra che non ha mai tirato in porta se non sui calci di rigore finali che hanno esaltato Gigio Donnarumma e spento le presunzioni inglesi.
Siamo in cima all'Europa, siamo primi come pochi avevano immaginato, pensato e anche sognato.
Ha vinto Mancini, ha vinto l'Italia della normalità, ha vinto il calcio della testa e del cuore. Un'estate italiana, adesso bellissima. Agli inglesi lasciamo le sbronze, la regina e i loro hooligans sconfitti fuori e in campo. Wembley è un teatro triste.
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