Quasi centomila condivisioni su Facebook. A tanto è arrivato il messaggio polemico di Melissa Cosentino (ripreso da un'imprenditrice perugina, Catia Brozzi), entrambe utenti come tante, sconosciute ai più, che replicano alla conduttrice de Le Iene Nadia Toffa, dopo il racconto di lei in tv: «Ho avuto un cancro, sono guarita. Porto la parrucca, non bisogna vergognarsi. I malati sono guerrieri».
L'impostazione della Toffa - che ha raccontato di un tumore sconfitto in due mesi grazie alla chemioterapia e alla radioterapia - ha scatenato molti commenti di sostegno ma anche critiche accese. L'ultima arriva proprio da Melissa, che in un lungo post ha raccontato l'altra faccia della medaglia, quella di chi scopre della malattia di un parente, nel suo caso la madre, ma la vede andare via per sempre proprio in due mesi. «Beate te, cara Nadia Toffa - scrive la Cosentino - Sai, qui, nel mondo di noi comuni mortali, ci sono persone che in due mesi non riescono neanche ad avere una diagnosi, dati i tempi biblici delle prenotazioni ospedaliere, magari muoiono ancor prima di sapere di che male soffrissero. Qui ci sono persone - spiega ancora - che dopo addirittura decine di anni, quando ormai tutte le statistiche di questo (sporco) mondo li davano finalmente per guariti hanno ricominciato tutto daccapo». Un modo per sottolineare che la fotografia restituita dalla Toffa è parziale ed è quella di una paziente «fortunata». Polemica, poi, sui «protocolli», che «non tengono conto del fatto che ogni persona ha con sé una storia diversa, un organismo diverso e che può reagire in mille modi alle terapie ufficiali, fino a lasciarci la pelle, perché qui, nel nostro mondo, i medici ci avvisano che il protocollo ufficiale può funzionare ma può anche ucciderci». Infine la definizione di «persona figa», usata dalla Toffa per i malati di cancro. «Le persone fighe - scrive la Consentino - sono quelle che assistono un malato oncologico. I malati no, cara Nadia, non sono fighi e non credo neanche si sentano fighi».
Un dibattito nel quale, a distanza, si inserisce la direttrice generale della Fondazione Umberto Veronesi, Monica Ramaioli, che al Giornale dice: «Non conosco Nadia Toffa e non ho avuto un contatto diretto con lei. Ma credo che abbia voluto parlare per scardinare quello che la parola cancro rappresenta per molti, che si vergognano o hanno paura anche solo a nominarla. Il suo mi è sembrato un messaggio di ottimismo, per dire, da malata: non abbiamo paura. È una psicologia positiva indispensabile di fronte ai tumori, più difficili da affrontare se si è depressi o scoraggiati. Non solo - aggiunge la Ramaioli - Quella del cancro non è più una sentenza senza appello.
La ricerca ha fatto enormi progressi. Negli anni '60, solo il 10% di chi aveva una leucemia sopravviveva, oggi la percentuale è all'80-85%. Questo è merito della ricerca, non perché la malattia è più debole o le persone sono più forti».
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