A quasi dieci giorni dal voto del 26 maggio, le elezioni europee continuano a rilasciare le loro tossine - sotto forma di rese dei conti interne ai partiti sconfitti nelle urne, o di ulteriori sconfitte in successive consultazioni locali, com'è il caso del partito Syriza del premier greco Tsipras ormai in caduta libera - nel mondo politico di diversi Paesi dell'Unione. La situazione più complessa è, naturalmente, quella della Gran Bretagna, con i conservatori a caccia di un successore della premier Theresa May che ha abbandonato il campo con le ossa rotte e i laburisti tuttora in cerca di una linea coerente. Ma oggi non è di Londra che ci dobbiamo occupare, presa com'è la capitale britannica dalla visita ufficiale di un Donald Trump che attira su di sé ogni preoccupata attenzione. Meritano il focus la Germania e la Francia, attori ambiziosi di un disegno di rilancio europeo, eppure condizionati dalle debolezze delle rispettive leadership politiche.
A Berlino, dopo le sconsolate dimissioni della segretaria nazionale Andrea Nahles, il partito socialdemocratico naviga in pessime acque. E trascina in territori pericolosi la stessa «grande coalizione» di governo di cui fa parte con la Cdu della cancelliera Angela Merkel. Dopo il passo indietro della Nahles, ogni sviluppo fino a ieri considerato irrealistico diventa possibile. Anche quello che una Spd ridotta nelle condizioni di un pugile suonato dall'imbarazzante 16 per cento di consensi racimolato alle europee possa affidarsi non solo, com'è nell'ordine delle cose, a un nuovo leader (probabilmente l'attuale vicecancelliere Olaf Scholz), ma anche decidere di rompere il patto con la Merkel per giocarsi la carta di nuove elezioni anticipate con una linea politica più a sinistra per recuperare gli scontenti e consegnandosi volontariamente a un catartico periodo all'opposizione. In questo contesto alla cancelliera, che ha da tempo chiarito di voler restare alla guida del governo fino al 2021, non resterebbe che guardarsi attorno in cerca di improbabili nuovi partner di coalizione. Gli unici plausibili sarebbero i verdi, in piena ascesa dopo il lusinghiero risultato delle europee. Ma, a parte le evidenti differenze di programma con la Cdu che renderebbero difficile un'intesa per governare insieme, è proprio quel rilancio a suggerire agli ecologisti altre strade: la loro tentazione attuale, con i sondaggi che li vedono addirittura primo partito in Germania con un 28 per cento contro il 27 della Cdu/Csu, è di andare a nuove elezioni politiche per cercare di prendere la guida del Paese. Difficile fare previsioni, ma è certo che in queste condizioni la guida di una Merkel già in china discendente non fa che indebolirsi.
A Parigi invece, mentre come sempre il presidente Emmanuel Macron gioca le sue carte più valide a livello europeo più che su quello nazionale, a far notizia sono le dimissioni del leader gollista Laurent Wauquiez, costretto ad ammettere il suo personale fallimento di rilanciare i Republicains: il 26 maggio gli eredi del gollismo sono precipitati all'8 per cento, perdendo consensi a destra, presidiata da Marine
Le Pen e al centro in favore del partito di Macron. Wauquiez ha preso atto signorilmente che «le vittorie sono collettive e le sconfitte solitarie», ma è lo stesso destino complessivo del suo partito a sembrare in bilico.
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