Coronavirus

Caos piano pandemico. Tra Speranza e il Cts scaricabarile senza fine

L'ex ministro: "Attuarlo era compito dei tecnici del ministero". Sileri: totale disorganizzazione

Caos piano pandemico. Tra Speranza e il Cts scaricabarile senza fine

Si salvi chi può. Dalla lettura comparata dei verbali sulla gestione dei primi giorni della pandemia, raccolti dai pm nell'inchiesta per epidemia colposa della Procura di Bergamo, emerge uno spaventoso scaricabarile tra il ministro della Salute Roberto Speranza, i suoi predecessori, vecchi e nuovi dirigenti, componenti del Cts. Nessuno ammette alcuna responsabilità nel tira e molla su piano pandemico e zona rossa che, secondo la perizia del virologo Andrea Crisanti, avrebbe portato alla morte di almeno 4mila bergamaschi. Tesi confermata a verbale anche da Stefano Merler, il ricercatore della fondazione Bruno Kessler che per primo aveva lanciato l'allarme contagi: «Si fossero chiuse Alzano e Nembro una settimana prima si evitavano la metà dei contagi».

«Ci mancava il manuale di istruzione su come fronteggiare un virus sconosciuto», è la versione di Speranza ai pm il 28 gennaio 2021, secondo cui il piano pandemico del 2006 rimasto colpevolmente inapplicato «era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale. Credevo non fosse sufficiente un approccio di tipo statico, cioè esclusivamente fondato su un documento». Una valutazione disastrosa. «Ma l'attuazione del piano era compito del direttore generale della Prevenzione del ministero» (Claudio D'Amario, pure lui indagato), ricorda l'ex ministro, che però sapeva di doverlo adeguare, visto che D'Amario nel settembre 2019 avrebbe voluto creare «un gruppo di lavoro». Ma l'aggiornamento era di sua competenza? «Si tratta di valutazioni tecniche, non del ministro - è la versione dell'esponente Pd - La pandemia era una cosa seria, ecco perché decisi un nuovo strumento specificamente costruito sul Covid e la task force», conclude. Parole che giustificano l'ipotesi investigativa dei pm guidati da Antonio Chiappani e che saranno attentamente vagliate dai giudici che dovranno giudicarne la consistenza.

Ma c'è una domanda inevasa. Chi convinse Speranza a non attuarlo? «Non ricordo se qualcuno in modo specifico abbia detto che il Piano pandemico antinfluenzale non andava attuato, fu una valutazione e una decisione dei tecnici di riferimento della task force e poi del Cts», balbetta Speranza. Secondo la versione di D'Amario fu il direttore dell'Iss Silvio Brusaferro, che invece nega fortemente. Il successore di Speranza, Orazio Schillaci, non commenta la ridda di indiscrezioni finite nelle agenzie di stampa: «Non l'ho ho mai fatto da privato cittadino, figurarsi da ministro». Anche l'ex ministro Beatrice Lorenzin (in carica dal 2013 al 2018) cade dalle nubi e ai pm dà la colpa a Ranieri Guerra: «Credevo che il piano già ci fosse, l'allora dg della Prevenzione alla Salute mi aveva informato che ne avrebbe predisposto uno nuovo». In effetti Guerra a fine 2017 (prima di andare all'Oms) scrisse che l'aggiornamento era «necessario».

Quanto al possibile pressing dell'esecutivo sull'Oms per la sparizione del report di Francesco Zambon e da un gruppo di ricercatori con ufficio a Venezia che inchiodava Giuseppe Conte sul piano pandemico, Speranza nega di averne parlato con Guerra (già ampiamente scagionato da quest'accusa). Secondo Speranza «quel report non toglie e non aggiunge nulla». Sarà, ma il documento sparì il 14 maggio 2020, meno di 24 ore dopo la sua pubblicazione. Speranza ha solo ammesso ai pm che lui e Brusaferro erano «sorpresi che Oms pubblicasse una cosa sull'Italia finanziata dal Kuwait», nulla più. Anche se agli atti c'è una chat tra Speranza, Brusaferro e Guerra, nella quale quest'ultimo si scusa per la pubblicazione del report.

Tra tanti che fanno spallucce c'è chi come l'ex viceministro Gianpaolo Sileri ha il coraggio di ammettere il caos che regnava nella famigerata task force che avrebbe dovuto proteggere l'Italia: «Assoluta disorganizzazione, mancanza di una chiara catena di comando, scarso controllo del territorio, informazioni frammentarie, assenza di dati retrospettivi di confronto», ecco le fragilità snocciolate da Sileri ai pm, che ha ricordato anche i suoi rapporti difficili e comportamenti «poco professionali», per usare un eufemismo, dell'inner circle di Speranza. C'è una frase che spiega in che mani eravamo.

Durante una riunione della task force Sileri, di ritorno dalla Cina, ipotizza un rischio Covid anche per l'Italia: «Ah Silè, non portà sfiga».

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