di L'occasione è la festa delle Forze Armate, ma il discorso è più da «prima linea» che da celebrazione istituzionale. Un discorso a dir poco preoccupante anche perché a pronunciarlo - davanti al premier Matteo Renzi, ai presidenti di Camera e Senato e ai vertici delle Forze Armate riuniti all'Altare della Patria - è Giorgio Napolitano, un presidente non certo incline a diffondere allarmi o paure ingiustificate. Eppure Napolitano non si trattiene. Allude ad una minaccia reale, anche militare, che, insieme all'Unione Europea e alla Nato, «dobbiamo essere pronti a prevenire e contrastare». Mette in guardia da «nuove e più aggressive forme di estremismo e di fanatismo che rischiano di investire anche l'Europa, e l'Italia in particolare, infiltrandone gradualmente le società». Parla apertamente del rischio di una saldatura tra «la spinta esterna dell'estremismo e quella interna dell'antagonismo» capaci di provocare «rotture e violenze di intensità mai vista prima all'interno della nostra società».
Toni da Armageddon che spingono molti a chiedersi quale, nell'universo delle minacce possibili, tenga più sulle spine il Presidente. E quali informazioni gli siano arrivate dai servizi di sicurezza. La prima e principale incognita riguarda ovviamente il terrorismo esterno. Gli attacchi andati a segno in Canada tra il 20 e il 22 ottobre scorso per mano di due militanti dello Stato Islamico hanno messo i brividi a tutti gli 007 occidentali. E così anche la nostra intelligence ha infittito i controlli sulla rete di complici e favoreggiatori che fa da cornice intorno alla cinquantina di jihadisti partiti dall'Italia per andare a combattere in Siria. Anche perché come ricorda il ministro della Difesa Roberta Pinotti «Presto l'Italia avrà nuovi compiti nella lotta contro l'Isis....ed il lavoro non sarà brevissimo».
Ma a preoccupare non è solo l'onda lunga di Ottawa o il timore di finire nel mirino a causa dell'accresciuto impegno internazionale. Al clima d'inquietudine contribuiscono anche i dossier passati alla nostra intelligence dai francesi della Dgsi ( Direction générale de la sécurité intérieure ). Dossier che segnalano come entrambi gli autori di due sventati attentati di matrice islamica progettati per far strage a Lille e a Nizza, fossero reduci siriani. Reduci passati - come Mehdi Nemmouche, il 29enne d'origini algerine autore della strage al museo ebraico di Bruxelles del 24 maggio - dalle fila dello Stato Islamico. Oltre alla minaccia dei reduci il nostro paese deve poi far i conti con il rischio «infiltrazione». Pur registrando un numero di «veterani» siriani esiguo rispetto a Francia, Belgio e Gran Bretagna l'Italia si misura con le minacce di un'immigrazione totalmente fuori controllo. Ad oggi nessuno sa con precisione quanti degli oltre 160mila clandestini arrivati nel nostro paese negli ultimi 10 mesi intrattengano contatti o legami con le formazioni di matrice jihadista che da agosto dettano legge sui territori libici. E a preoccupare non poco è anche l'ondata di progressiva radicalizzazione che interessa la folta comunità di musulmani balcanici stabilitisi negli ultimi anni nel nostro Triveneto. Una comunità che conta già due jihadisti caduti sui campi di battaglia siriani dopo aver abbandonato quelle provincie del Veneto dove avevano trovato accoglienza e lavoro. Ad alimentare l'inquietudine di Napolitano s'aggiunge poi la situazione interna. Alcuni recenti rapporti d' intelligence sottolineano il rischio che lo scontro tra governo e sindacati, le fratture interne alla sinistra e l'acuirsi delle tensioni sociali portino alla nascita di gruppuscoli radicali fuori controllo. Gruppuscoli numericamente marginali, ma pericolosamente affascinati, come negli anni '70, dalle suggestioni di violenza e lotta armata.
Gli estremisti partiti dall'Italia per la Siria sono una cinquantina. I loro complici sono ancora qui
Non verifichiamo se gli immigrati sbarcati dalla Libia abbiano legami col terrorismo islamico
C'è il pericolo che si saldino gli interessi di terroristi islamici e gruppuscoli radicali antagonisti
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