Caro cognato non ti rubo (per ora) a mia sorella

Caro cowboy,

Uno sconosciuto conosciuto da sempre. Così mi sei sembrato la prima volta, quando mia sorella ti ha portato da noi. Un'emozione istantanea che mi ha fatto convertire i miei stravaganti rigori. La tua allegria mi ha sedotto, il profumo della tua pelle mi ha soggiogato. Vorrei conoscere tutte le parole del mondo per descrivere il tuo buon odore. Per raccontarlo, vorrei sospendere la vita e fiutare la mia memoria emotiva, fino ad affondarvi e riprodurre l'aroma della tua pelle. L'aroma che ti circonda, virile e naturale, è quasi un (...)

(...) sapore che, pressante, mi cattura la gola, si sparge nella pancia e mi inquieta tutto il corpo. Così è stato la prima volta, così è sempre, ogni volta che sono vicina a voi. Un odore antico e vitale, caldo e pepato. Raro. Preziosa malizia di maschiezza. Una fragranza di uomo che mi ha portata a scelte coraggiose e sorprendenti. Nei miei sogni di ragazza c'era un amante intrepido e arrendevole, festoso e malinconico, forte e sensibile, avido di me e rispettoso. Troppi ossimori perché davvero potessi credere mai di imbattermi in lui. E così ho regalato dolcezze e desideri a compagni deboli, di sentimento breve, egoisti o egocentrici, vanesi e depressi, spesso vili e approssimativamente virili. Senza fantasia e sorpresa. Sono diventata donna nel tempo con la sensazione di raccontarmi agli altri come fossi la sosia di me stessa. Sapevo da sempre che la protagonista autentica non si era ancora rivelata. Nessuno era mai riuscito a svelarla.

Sintomi ormai assidui mi sollecitavano però a entrare in conflitto con la mia controfigura, non tanto per abbatterla, in fondo si era meritata il suo pubblico, quanto per mettere alla prova le peculiarità inespresse del mio doppio autentico. Quella parte di me selvatica e maltrattata dalla saggia educazione e dalla prudenza sociale. Quel mio essere femminile che la sosia traduceva nella grazia domestica e affettiva. Nell'accoglienza, le cure, la capricciosa volubilità del vestire. Ma anche nella difficile e rigorosa capacità di avere un pensiero onesto. E di essere coerente sempre. Finché non ho visto, anzi annusato te. Cowboy metropolitano e fidanzato di mia sorella. Solitario, pensoso e maschio. Capace di perdersi nella musica, come di sfoderare quegli occhi luccicanti quasi fossero pistole e puntarli ogni tanto su di me. Ridente e passionale.

Ero disorientata, quando nel salutarti ho sentito il profumo del tuo collo vicino a me. Sbalordita dalla potenza del mio desiderio verso un ignoto maschio, e nuovo compagno della mia sorellina più piccola. La mia avatar esterna ha subito lasciato il campo alla interna femmina guerrigliera che, determinata, ha pensato di volere esplorare il territorio che le era stato negato, e conquistato da un'altra. Volevo scoprire l'uomo che ama gioioso il rumore del mare in burrasca e descrive con stupore la fragranza umida della terra. Mi attirava il colore che rubi al sole con voluttà. Mi inquietavano le tue braccia tornite e nervose. Irrinunciabile il richiamo della tua pelle, dei candidi e forti denti da lupo che suggeriscono battaglie erotiche. Delle mani che immagini a costruire percorsi sconosciuti ai più e nel contempo a sostenere qualsiasi debolezza femminile. Del torace possente, scudo e rifugio sicuro. Ti desideravo e ti temevo. Volevo rifiutare l'idea di immaginarti nudo con me. Non potevo liquidare, come fosse niente, l'amore di mia sorella per te. Inebriante invece la tua determinazione nell'importi a me, poi, in un pomeriggio rubato all'onestà, senza cedere al vile minuetto di chi vuole conquistare la propria faccia invece del corpo di una donna. La schiettezza e la capacità di decidere hanno sempre avuto per me un fortissimo richiamo erotico, le rare volte in cui le ho trovate negli uomini conosciuti. È per questo che non riesco più a contraddirti o sfuggirti. È per te che ho rinnegato rigori, onestà e pudori. Sono incapace con te di qualsiasi reazione, pratica, ragionevole o scaltra, che non sia quella di toccarti e di farmi toccare. Ovunque capiti e ovunque siamo, per rinnovare l'espansione dei sensi scoperti, come fosse la prima volta, e guardarti, fiutarti, sentirti. Averti dentro di me con la forza atavica della femmina che riconosce il suo maschio. Riesci coi movimenti del corpo a riportarmi in un tempo antico, mai visitato dalle idee e dai ricordi, ma impresso nel sangue e in ogni mio neurone che neppure sapevo esistere. Persino le nostre anime, con scioltezza, e allegria, fluiscono l'una verso l'altra, voraci e caparbie nella conquista reciproca. Che mai ci sarà, mai dovrà esserci. La conquista segna il finale, restituisce i contorni all'energia necessaria per impossessarsi del trofeo. È proprio la voglia incontenibile di espugnarci e soggiogarci nell'incanto vasto e improvviso, la forza che c'è in noi. È il vigore di questo piacere che non voglio guastare, intiepidire nella quotidianità, banalizzare nel consueto. Abbiamo ormai superato ogni confine di lealtà e onestà, ma non voglio rubarti per sempre a mia sorella. Non per amore suo, ma per amore mio. Per la voglia di far vivere all'infinito un desiderio perfetto, lontano dall'obiettivo, ma fremente nell'essere coltivato. Tremo infatti al pensiero che l'odore dei nostri corpi possa mescolarsi definitivamente nell'abitudine dei nostri abbracci, fino a non potere avvertire il più ricco e straniero richiamo della tua pelle. Il segreto di questo incontro è il nostro sapere onorare solitudine e libertà. Mentre, contemporaneamente, disonoriamo noi stessi, i sentimenti altrui, la vita come raccontata da chi è per bene. Perché continuiamo, senza vergogna, a sporcare la vostra storia e la mia vita affettiva. Chiunque avrebbe ragione e orrore nel giudicarci male. Nessuno però dovrà mai sapere. Dobbiamo continuare a non volerci, per essere inattaccabili da chiunque. Persino da ciascuno di noi.

Prima di poterci rinfacciare un giorno la potenza del nostro desiderio. Dobbiamo restare protesi dentro la solitudine ricca di passione e attratti dalla libertà di amarci, forse, anche domani. Ti prego, non sbagliare mai. Non dirmi mai «per sempre».

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