Caro Feltri, il tuo cancro perderà

Caro Feltri, il tuo cancro perderà
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Caro Vittorio Feltri, come al solito per te, come per me, non esiste distinzione tra pubblico e privato, odiamo la privacy (cosa avranno poi da nascondere i fissati con la privacy non si sa, forse che si scopra che hanno una vita insulsa, al di là di quanto vogliano far credere sui social). Quindi mi sento autorizzato a rendere pubblica la nostra ultima conversazione telefonica. L'ultima volta che ci siamo sentiti (in genere ci sentiamo una volta a settimana per parlare del più e del meno, in genere di donne, o di cazzate che ci fanno ridere, ma da un po' non rispondevi, mi stavo preoccupando), mi hai parlato di questo nodulo al seno, che poi era un tumore, per il quale ti sei operato, e eri veramente incazzato. Era come se ce l'avessi col tumore: un tumore, a me, ma come ti permetti?

Non sono un medico, sono uno scrittore, ma anche ipocondriaco, e ho visto tutte le puntate di Doctor House, e ti ho fatto delle domande di routine, se c'erano metastasi, se era grave, ma tu mi hai risposto secco: «Vorrei vedere tu se avessi un cancro». Mi rendo conto, il cancro è lo spauracchio di tutti, tant'è che quando muore qualcuno di tumore si dice sempre morto «di una lunga malattia», o «di un male incurabile», la parola è impronunciabile, un tabù. Non per te, che chiami le cose con il loro nome, da sempre, e in questo sei diventato un maestro del giornalismo.

Ma da quanto mi hai detto, non è niente di grave. Ti assicuro, mio papà è morto di un tumore aggressivo alla prostata dopo dieci anni dalla diagnosi, dopo «una lunga malattia» appunto. Non fumava, non beveva. Tu bevi da sempre quello che ti pare, fumi molto (una volta ti ho chiesto «quanto fumi?» e hai risposto «più che posso», strepitoso come sempre, e io ti ho preso ad esempio), polmoni sani, fegato sano, hai settantotto anni e non hai mai avuto niente, quel cancrino non è niente, ti assicuro, credo te l'abbia detto anche la tua amica oncologa Paola, ma mi pare alla fine lo abbia capito anche tu. Rivolgendoti a Fedez hai scritto

ieri, nel tuo editoriale, «non sono capace di consolarti caro Fedez, però ti segnalo che del mio tumore me ne sbatto i coglioni».

E poi, Vittorio mio, c'è la guerra in Ucraina, siamo usciti dal Covid, manca solo un asteroide, e non penso proprio che un nodulo tumorale al petto, operato, senza metastasi, con tutti i controlli che ti fai annualmente, sia un pericolo per te, e per tutti noi. Perché, conoscendoti, mentre tu potresti fare tranquillamente a meno di Vittorio Feltri, noi no.

E poi ricordati una cosa: sono sempre i sani che muoiono, i salutisti, i vegetariani, quel piccolo tumore ha scelto la persona sbagliata, col cavolo che ti uccide. È battuto in ritirata. Continua a bere, a fumare, e a essere quello che sei. Noi non possiamo fare a meno di te. Almeno per i prossimi trent'anni. Quel tumore l'hai già mandato affanculo.

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