Cronache

"Caro Timothy, mi chiamo George". Le lettere di Bush al bimbo adottato

Ma al ragazzo filippino il presidente non rivelò la propria identità

"Caro Timothy, mi chiamo George". Le lettere di Bush al bimbo adottato

Timothy e George erano due amici di penna qualunque. Almeno questo era ciò che pensava il ragazzino. Sette anni e una vita da fame laggiù nelle Filippine. Nascere dalla parte meno fortunata del pianeta e poi George che arriva. Benvenuto come un miracolo. Quell'uomo che da lontanissimo sceglie di aiutare te: un bambino tra troppi, visto in fotografia, con gli occhi che ridono e i denti bianchissimi. Passano dieci anni così, con Timothy che riceve aiuti dal padre adottivo che si affeziona sempre di più e gli scrive lunghe lettere. «Non ti conosco ma già ti voglio bene», gli scrive quest'uomo dall'America. Già l'America, chissà che sogno dev'essere. E allora George gliela spiega questa nazione fantastica a stelle e strisce, gli racconta della sua vita e si interessa a lui, a questo piccolo preziosissimo amico che coltiva con la dedizione e la cura di un nonno un po' lontano. E oggi che George non c'è più, si scopre che il cognome non era Walker con cui si firmava nelle lettere al piccolo Timothy, ma Bush, il presidente degli Stati Uniti, eletto alla Casa Bianca nel 1988 per un solo mandato quadriennale. Timothy lo ha scoperto solo dopo, quando era già diventato grande, a diciassette anni e il programma di adozione concluso. Un presidente scomparso lo scorso 30 novembre che fa commuovere ancora e fa emozionare. La semplicità delle lettere e il calore che accarezza il cuore. L'organizzazione Compassion International ha fatto uscire tramite la Cnn alcune lettere; c'è la prima, datata 24 gennaio del 2002. «Caro Timothy, voglio essere il tuo nuovo amico di penna. Sono un uomo anziano, di 77 anni, ma amo i bambini e anche se non ci siamo mai incontrati già ti voglio bene», scriveva Bush, firmando le lettere con lo pseudonimo di George Walker.

Era stata la squadra che si occupava della sicurezza di Bush ad essere preoccupata per la sicurezza del bambino: nessuno voleva che diventasse un obiettivo, nel caso in cui si fosse saputo che Timothy era in contatto con l'ex presidente degli Stati Uniti. E allora ecco l'idea dello pseudonimo. Secondo Wess Stafford, ex presidente di Compassion International, mantenere il segreto non era stato facile, anche perché l'ex presidente, nel raccontarsi al bambino, aveva a un certo punto iniziato a dare nelle lettere qualche particolare che, a una lettura attenta, avrebbe potuto portare sulle sue tracce. «Le sue lettere erano dolcissime», ammette Stafford. È che Bush ad un certo punto si lascia andare, e lascia involontari indizi. Allega la fotografia del suo adorato cane, «Il suo nome è Sadie e ha incontrato molte persone famose», scriveva Bush, «è un cane molto buono ed è nato in Inghilterra. Cattura topi e scoiattoli e corre come il vento».

Anche se non era permesso, l'ex presidente era solito mandate a Timothy dei regalini, soprattutto dopo aver scoperto che al bambino piaceva disegnare e colorare. In una delle lettere, Timothy ringraziava l'ex presidente per non essersi dimenticato di lui. Diventano amici. Poi, Timothy diventato adulto, scopre la vera identità del benefattore. Resta di stucco.

E poi sorride.

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