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La caserma è occupata da 500 profughi Alla commemorazione partecipano solo loro

Gli immigrati cantano l'inno, i familiari dei caduti della Grande Guerra restano per strada sotto la pioggia

La caserma è occupata da 500 profughi Alla commemorazione partecipano solo loro

La commemorazione dei caduti apre soltanto ai profughi. Siamo a Treviso. L'8 giugno per i trevigiani è una data importante, ricorre l'anniversario della morte dei soldati del 55° Reggimento Fanteria, annegati nell'affondamento del piroscafo Principe Umberto. Era il 1916 e degli oltre 1.700 fanti, 521 erano soldati della Marca Trevigiana. Per ricordarli l' 8 giugno a Treviso c'è stata una cerimonia all'interno dell'ex caserma Serena, dove c'è un monumento a loro dedicato. Peccato che qui siano ospitati quasi 500 richiedenti asilo, sicché al rito di commemorazione hanno partecipato i profughi con in mano le bandierine tricolore, i sindaci di Treviso, Casier e Conegliano: due comuni trevigiani, il Prefetto Laura Lega e il presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni della Grande Guerra, Franco Marini, e poi, poche selezionatissime persone. Per motivi di sicurezza, infatti, legati all'ospitalità dei profughi, i cittadini trevigiani e i familiari degli avi caduti sono stati lasciati fuori.

«Non ci hanno fatto entrare dice infuriato Domenico Piccoli, tra l'altro anche ex consigliere comunale Pdl con me c'erano altre persone, tra cui un generale di Casier. Ci hanno detto che era aperto soltanto agli invitati e ci hanno lasciato fuori sotto la pioggia. Così attorno al monumento e durante l' alzabandiera c'erano i profughi che hanno anche cantato l'inno di Mameli. Una vergogna». Gli inviti erano ristretti a una schiera ben precisa di persone, nemmeno i familiari, per il centenario, hanno ricevuto nulla. «Mio zio è morto nell'annegamento di quel piroscafo racconta Paolo Mascherin che ha 92 anni e abita a Santa Maria del Rovere nel trevigiano se qualcuno mi avesse avvisato della cerimonia, ci sarei andato volentieri, anche se alla mia età è difficile muoversi».

A portare alla ribalta la questione è stato proprio il consigliere Piccoli che ha inviato una lettera di protesta a Il Gazzettino. «Le autorità hanno deciso di promuovere una cerimonia con la partecipazione limitata a pochi rappresentanti delle istituzioni si legge - senza curarsi della cittadinanza e dei familiari degli avi caduti; mentre hanno potuto presenziare cinquecento stranieri che di quei fatti di guerra e dell'Italia non nutrono alcun interesse e ancor meno rispetto». Una lettera che ora Piccoli invierà anche al presidente della Repubblica, al premier Matteo Renzi, al ministro dell'Interno, ai tre sindaci presenti e al Prefetto. Non solo, tra i trevigiani interessati c'è anche il presidente della provincia di Treviso, Leonardo Muraro, il quale ci rivela che il nonno, Giulio Muraro, da quella strage ne uscì superstite e che per il fatto dipinse tre quadri dove si vede il piroscafo affondare con la scritta «Silurato dal nemico austriaco», di cui uno custodito in un museo di Treviso. «Avevo chiesto al Prefetto racconta Muraro di poter portare il quadro durante la commemorazione, ma non mi ha più fatto sapere nulla. Forse si sarà dimenticata. Resta il fatto che ci sono tante persone che hanno vissuto questo dramma e magari l'evento per la ricorrenza si poteva organizzare meglio. Si sarebbe dovuta aprire la cerimonia alla cittadinanza e invitare i familiari perché per Treviso è importante, visti anche i cento anni».

In quella strage, infatti, la più grande tragedia navale italiana, morirono 52 ufficiali, 1.764 soldati del 55° Reggimento Fanteria e 110 marinai dell'equipaggio.

Di quei soldati, un terzo erano trevigiani, che mercoledì sono stati ricordati solo dai migranti.

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