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Caso Palamara, spunta il "salvagente" per le toghe

Non utilizzabili le intercettazioni compiute per altre inchieste. Appiglio pure per Maroni

Caso Palamara, spunta il "salvagente" per le toghe

Una svolta che potrebbe salvare Roberto Maroni, l'ex presidente della Regione Lombardia recentemente condannato anche in appello per induzione indebita. Ma che sullo sfondo ha anche un'altra vicenda, e di rilevanza ancora maggiore: lo scandalo che ha investito il Consiglio superiore della magistratura, le cui manovre sottobanco sono state messe in luce da una serie di intercettazioni che hanno portato a incriminazioni eccellenti e dimissioni. A partire da quelle del giudice Luca Palamara, leader della corrente di Unicost, e del procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio.

A unire le due vicende (ma anche molte altre di minor rilievo) è la sentenza, per alcuni aspetti rivoluzionaria, emessa il 2 gennaio dalle Sezioni Unite della Cassazione. Tema cruciale: la utilizzabilità in un'inchiesta e in un processo di intercettazioni compiute in un'altra indagine. È il sistema invalso da anni, con verbali che rimbalzano da una inchiesta all'altra. Finora la Cassazione aveva lasciato le briglie sciolte alle Procure: bastava che il contesto fosse più o meno uguale, che uno o più indagati comparissero in entrambi i filoni, e tutto si poteva utilizzare. Il caso più recente e lampante era stato proprio quello di Maroni: intercettato in una costola dell'indagine sugli appalti in India di Finmeccanica, finita in nulla, ma poi inquisito e condannato per i favori fatti in Lombardia a una collaboratrice del suo staff. La motivazione della condanna in appello, depositata l'altro ieri, dice che le intercettazioni erano utilizzabili essendoci «connessione soggettiva e probatoria tra i due procedimenti», «siccome erano evidenti le necessità di approfondire i rapporti tra Maroni e i suoi più stretti collaboratori».

Macché, dicono ora le Sezioni Unite della Cassazione: le intercettazioni possono transitare da un indagine all'altra solo nei casi previsti dall'articolo 12, cioè se i reati sono commessi «con una sola azione» o con un «unico disegno criminoso», o il secondo reato per coprire il primo.

Maroni, quando il suo caso approderà in Cassazione, potrà giovarsi della svolta. Ma lo stesso potranno fare esponenti di spicco della magistratura coinvolti dall'inchiesta sul Csm, e intercettati insieme a Palamara. Dovrebbero salvarsi l'ex procuratore generale della Cassazione, Fuzio, e l'ex membro del Csm Luigi Spina, accusati di avere rivelato a Palamara l'esistenza dell'inchiesta a suo carico. L'inutilizzabilità delle intercettazioni in sede penale potrebbe essere fatta valere anche in sede disciplinare dai numerosi ex membri del Csm finiti sotto procedimento.

Per non parlare di cosa accadrebbe se la Corte Costituzionale desse ragione a Cosimo Ferri, senatore di Italia viva, che accusa la Procura di Perugia di averlo intercettato abusivamente mentre parlava con i membri del Csm.

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