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La Cassazione e la morte di Martina: "Era senza pantaloncini, non fu suicidio"

Disposto il nuovo processo: «In appello ignorati fatti fondamentali»

La Cassazione e la morte di Martina: "Era senza pantaloncini, non fu suicidio"

Ci sarà un nuovo processo per la drammatica morte di Martina Rossi, la ventenne ligure morta precipitando dal balcone di una camera di albergo a Palma di Maiorca, in Spagna, il 3 agosto 2011. Una fine «anomala» con l'ombra di un tentativo di stupro cui la ragazza stava cercando di sottrarsi. Una dinamica che portò in primo grado alla condanna di due giovani che si trovavano con lei in quell'albergo. Condanna poi ribaltata nel processo di appello con la piena assoluzione degli stessi due imputati. Ora è arrivata la Cassazione che ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione riservando ai giudici di appello parole di inusitata durezza.

«La più evidente carenza di analisi, con conseguente evidente insufficienza motivazionale e mancanza di motivazione rafforzata, va rilevata in riferimento ai contenuti della audio-video intercettazione effettuata il 7 febbraio 2012, la cui analisi è addirittura ritenuta superflua dal Collegio d'appello», scrive la Suprema corte nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 21 gennaio ha annullato l'assoluzione per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi imputati nel processo sul caso di Martina Rossi.

Gli «ermellini» si sono poi soffermati su un aspetti che i giudici di secondo grado avevano completamente trascurato: cioè la «mancanza dei pantaloncini» al momento in cui il cadavere della ragazza fu rinvenuto. Un dettaglio che - a giudizio della Cassazione - «mal si concilia con un intento suicidiario». Per i giudici di piazza Cavour si tratta invece di un «elemento gravemente indiziario, soprattutto se letto in correlazione ai graffi sul collo di Albertoni». «Ciò che conta è che Martina precipitò senza i pantaloncini del pigiama - si legge nella sentenza - e tale elemento oggettivo indiscutibile non può sparire anch'esso dalla valutazione dei giudici di merito, ma deve essere correttamente considerato in collegamento con le altre evidenze probatorie al fine di esaminare in via deduttiva le probabili o possibili ragioni della sua mancanza addosso a Martina al momento della caduta, essendo evidente che i pantaloncini con cui la ragazza giunse nella stanza d'albergo degli imputati furono tolti quando la stessa si trovava all'interno della camera 609».

Ma la Cassazione non si ferma qui e stigmatizza il verdetto di assoluzione con antri argomenti: «I giudici di appello, con un esame invero superficiale del compendio probatorio, hanno ritenuto di ricostruire una diversa modalità della caduta della ragazza».

Secondo i supremi giudici, nella sentenza di appello sono stati «depotenziati tutti gli elementi fattuali certi della scena del tragico evento come emergenti dagli atti, depotenziando, altresì la portata delle altre circostanze indizianti certe (i graffi sul collo di Albertoni ed il mancato rinvenimento sul cadavere della vittima dei pantaloncini del pigiama) e con un ragionamento di evidente incongruenza logica, hanno assolutizzato le dichiarazioni del testimone oculare della precipitazione di Martina () sminuendo altresì il narrato degli altri testimoni de auditu, però essenziali per individuare la diacronicità degli accadimenti, ossia quanto riferito dai turisti danesi che occupavano la stanza a fianco di quella ove si trovavano i giovani imputati».

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