Catalogna, l'ora della verità: patria (spagnola) o "muerte"

Se oggi Puigdemont non dichiarerà chiusa la causa separatista verrà esautorato e il Parlamento sciolto

Catalogna, l'ora della verità: patria (spagnola) o "muerte"

Era talmente spesso lo strato di cera lasciato sull'asfalto dalle migliaia di lumini degli indipendentisti sfilati martedì sera nella Ciudad Condal che, ieri, la Diagonal, principale arteria urbana a sei corsie, è rimasta chiusa. «C'era il rischio che le macchine pattinassero e provocassero incidenti», ha ripetuto alla radio il comando dei vigili. L'ennesima sollevazione, pacifica, ma carica di ansie e nervosismi, dei catalani che non vogliono più appartenere alla Spagna, ha lasciato una bava di cera e paure.

L'anima secessionista si è più rinfocolata, dopo l'arresto dei due Jordi (Sánchez, presidente dell'associazione pro referendum Anc, e Cuixart, numero uno dell'ong Omníum che ha distribuito cartelle illegali per la consultazione illegale). Sono i primi due «prigionieri politici» della guerra politica tra Madrid e la Comunità ormai autogovernata di Catalogna, prossima alla totale defezione e al commissariamento. E con tutti gli effetti negativi e drammatici che, dalle 10 di questa mattina seguiranno se il president catalano Carles Puigdemont non getterà la spugna e dichiarerà chiusa la causa separatista fai da te.

Se questo non avverrà, l'ex sindaco e giornalista politico, come prevede l'art. 155 della Costituzione nei casi di disobbedienza, sarà esautorato, il suo Parlament sciolto, e lui umiliato con tutto il suo esecutivo ad assistere, forse in stato d'arresto, al commissariamento della Catalogna. Mossos d'Esquadra inclusi. E sarà anche, la fine politica di Puigdemont, conseguenza dei procedimenti penali che l'Audencia Nacional, il Supremo di Spagna, prenderà per la sua condotta fuori da ogni regola.

A Madrid, nel palazzo della Moncloa, ieri, il premier Rajoy ha espresso la volontà di sospendere l'applicazione dell'art.155 se Puigdemont scioglie le Camere e convoca elezioni anticipate. Come accadde nel 2015, un anno dopo il primo referendum illegale della storia della Catalogna. Lui, che oramai non ha più nulla da perdere, testardo ha già dato in anticipo la risposta che Rajoy non vuole sentire: «Dialoghiamo o repressione». Un tavolo per ricucire lo strappo o assurgere, definitivamente a eroe e vittima della repressione, con i ministeri madrileni che comandano i dipartimenti catalani, i Mossos che non sono più corpo di polizia catalana e la spaventosa incognita della protesta che potrebbe diventare pura violenza alimentata da ogni genere di rabbia e sfociare in guerriglia urbana persistente. «Prossima volta non ci sarà cera, ma il vostro sangue per terra», ha urlato ieri un uomo visibilmente in stato confusionale, subito fermato, davanti a una squadra della Guardia Civil che tra Diagonal e Cortes Catalanes supervisionava al lavoro di pulizia dell'asfalto.

Una tensione palpabile che da ieri pomeriggio è diventata il furbo urlo di dolore, in formato video (già visto un milione di volte), di un popolo che si sente «oppresso» e «invaso» dalle forze spagnole. L'ha realizzato e diffuso sul Web l'associazione culturale del «prigioniero» Cuixart. Una ragazza catalana in lacrime, accompagnata dalle immagini drammatiche della Policia che manganella un'anziana e sfonda le porte dei seggi referendari del 1° ottobre, si rivolge alla comunità internazionale per supplicare aiuto per la Catalogna.

Un appello che, però, è copiato dal video-denuncia del 2014 della dura repressione ordinata dal presidente russo-ucraino Viktor Janukovy contro gli indipendentisti ucraini. E, soprattutto, un accostamento così forzato alla dittatura che non è piaciuto a Madrid, ora che ha offerto l'opzione, più pacifica, delle elezioni anticipate.

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