In Catalogna vince Mas L'indipendenza è un rebus

A scrutinio avanzato «Junts pel si» e il Cup ottengono il 47% dei voti e la maggioranza dei seggi della Generalitat. Ma forse non basta

Nelle elezioni regionali di Catalogna a tre quarti dello spoglio appare chiaro che i partiti indipendentisti hanno ottenuto la maggioranza dei seggi, 73 sui 135 totali del parlamento, anche a fronte di un dato percentuale inferiore al 50%. Quando, infatti, sono state scrutinate oltre il 75% delle schede a Junts Pel Sí e alla sinistra riformista del Cup (Candidatura d'Unitat Popular) vanno rispettivamente il 39,32% e l'8,05% dei voti e 63 e 10 seggi.

La strana alleanza per la secessione, quindi, governerà la regione di Barcellona, nel nordest del paese, un territorio da 7,5 milioni di abitanti. Nella coalizione contraria alla secessione della Catalogna il secondo partito, in forte crescita rispetto alle elezioni di tre anni fa, è Ciutadans, che si assesta intorno al 18% con 25 seggi (erano 9 con il 7,57% dei voti nel 2012), davanti ai socialisti del Psc, 13,31% e 17 deputati (erano 20 tre anni fa), al Partido Popular del premier Mariano Rajoy, 8,43% e 11 seggi (erano 19 con il 12,98%), e a Catalunya Sí que es Pot (che vede confluire anche Podemos nel listone), 10 seggi e 8,98%. Punito, quindi, il Pp del premier spagnolo Mariano Rajoy, duramente contrario all'ipotesi dell'indipendenza. Sembrano quindi esserci, almeno in questa fase e con il sostegno di Candidatura d'Unitat Popular, tutti gli ingredienti per sbandierare una qualche credibilità internazionale del progetto di indipendenza. Sul fronte opposto invece la durissima opposizione del premier spagnolo Mariano Rajoy non fa sconti, e pur riconoscendo l'oceanica adesione dell'elettorato (80,5%), con code ai seggi, qualche svenimento e 24 punti percentuali in più rispetto al 2012, dichiara illegale e anticostituzionale la spinta secessionista e riporta il tutto a un mero risultato di consultazioni regionali. Tutti vincitori e nessun vincitore, come appunto sosteneva la signora Dolores. In questa fase in continua evoluzione Mas ha ricordato che le elezioni «hanno segnato una vittoria innegabile della democrazia. È incontestabile che abbiamo ottenuto un vero e proprio plebiscito sull'indipendenza. La disconnessione dalla Spagna è partita ufficialmente alla chiusura dei seggi e in poco più di un anno e mezzo la Catalunya sarà un nuovo soggetto politico ed economico». Per tutta risposta il gruppo nazionalista spagnolo «Vox» e del «Partido Popular» del premier Rajoy ha continuato a far sventolare fino a tarda notte le bandiere della Spagna e della Catalogna, in un tripudio di orgoglio unitario, quasi a voler negare l'autentica pioggia di schede pro-Sì. Se a Barcellona, soprattutto nei quartieri-barrios di Pedralbes ed El Raval, si avverte ancora un senso di appartenenza alla Spagna, Girona è la roccaforte del separatismo. A quelle latitudini, così come a Lleida, il movimento Esquerra Republicana raccoglie simpatizzanti più integralisti dello stesso Mas. Definiscono la Spagna «un'automobile che sta per perdere il motore. Si fermerà e inizierà a fare la ruggine». Sognano capitale la città francese di Perpignan, che storicamente fu anch'essa catalana. Per il movimento Catalunya Verds, che vola a Tarragona (dove sono state inviate schede extra per far fronte all'affluenza record), è invece necessario un indipendentismo «morbido». Spiega la leader Dolors Camats. «Noi non facciamo differenze etniche e razziali.

Chi apprende lingua e cultura locale e chi lavora e vive onestamente in Catalogna è ben accetto dalla nostra comunità». Oggi il quadro diventerà più chiaro, ma l'impressione è che in pochi potranno arrogarsi la paternità di una qualsiasi vittoria.

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