
Una ciambella di salvataggio solo alla "bassa forza" degli uffici urbanistici, agli impiegati e ai capi intermedi rimasti invischiati delle indagini della Procura della Repubblica; a tutti i livelli superiori finiti sotto accusa, ovvero assessori e professionisti, il Comune di Milano ha deciso di rifiutare l'assistenza legale nelle indagini e nei processi che li attendono. Dovranno difendersi da soli, trovandosi e pagandosi da soli gli avvocati. È una scelta netta, destinata a creare qualche malumore, ma resa necessaria per dare un segnale di rottura col passato. Anche se il risultato è un po' paradossale:anche se la linea ufficiale del Comune e del sindaco Beppe Sala è che a Milano tutto avveniva correttamente, e che le accuse della Procura sono basate su una interpretazione forzata delle regole, chi è finito nei guai per avere fatto il suo lavoro dovrà cavarsela da solo. E non è escluso che Palazzo Marino scelga, quando verrà il momento, di costituirsi parte civile contro i suoi dipendenti ed ex dipendenti.
La vittima più illustre della "linea dura" è Gianfranco Tancredi, che fino a lunedì scorso era assessore all'Urbanistica e si è dimesso dopo la richiesta di arresto per corruzione, induzione e falso. Lo difende Giovanni Brambilla Pisoni, un avvocato che spesso lavora per il Comune, ma Tancredi deve pagarselo di tasca sua. Lo stesso hanno dovuto fare Alessandro Scandurra e Giuseppe Marinoni, ex componenti della commissione Paesaggio, difesi dai legali Giacomo Lunghini e Eugenio Bono. La svolta era arrivata quando Giovanni Oggioni, ex capo dello Sportello unico dell'Edilizia, che il Comune aveva deciso di tutelare dopo gli avvisi di garanzia per lottizzazione abusiva, era stato indagato anche per corruzione: e a quel punto il sindaco Sala aveva deciso di scaricarlo. Per questo gruppo di indagati non interviene neanche l'assicurazione che il Comune ha stipulato per coprire le spese legali dei suoi esponenti che finiscono sotto processo.
La rottura non sta, almeno per ora, innescando reazioni scomposte da parte degli "scaricati". Sia Tancredi che gli altri interrogati di mercoledì scorso hanno respinto i tentativi dei pm di ottenere da loro accuse su livelli superiori dell'amministrazione cittadina. E comunque la scelta del Comune è figlia probabilmente anche del bisogno di tenersi al riparo da un effetto collaterale delle indagini della Procura, ben presente fin dall'inizio all'avvocatura comunale: le richieste di risarcimento che dalle parti civili, in particolare dei comitati che si battono contro l'esplosione delle volumetrie, si annunciano consistenti in caso di processo.
Gli interessi economici in gioco sono quasi smisurati, e preoccupano quasi quanto le conseguenze penali. Ieri si apprende che Manfredi Catella, il più importante dei costruttori che la Procura ha chiesto di mettere agli arresti, è impegnato in una battaglia legale multimilionaria contro il Comune di Milano, lo stesso ente che i pm accusano di essersi piegato ai suoi voleri e interessi. A spingere Catella a fare causa a Palazzo Marino è stata l'operazione del "Pirellino", un palazzo di proprietà comunale comprato dall'azienda del costruttore, la Coima, che doveva diventare secondo il progetto di Stefano Boeri un nuovo "bosco verticale".
Ma quando il Comune impone l'obbligo di inserire degli appartamenti a canone sociale Catella non ci sta e fa causa per 69 milioni al Comune di Milano, nonostante che le porte per lui a Palazzo Marino fossero sempre aperte. Come dimostrano le chat con Giuseppe Marinoni: "Caro Giuseppe grazie per il tempo che stai dedicando alle verifiche preliminari per i progetti con maggiore rilevanza urbana". "Ciao Manfredi... interesse comune".