Il Cav offre il patto Salva Italia: ora non servono crisi di governo

Nuovo faccia a faccia con Renzi, Berlusconi pronto a collaborare anche sul Jobs Act: evitare il commissariamento della Troika. E sulla giustizia: «Matteo, mi sei piaciuto»

Il Cav offre il patto Salva Italia: ora non servono crisi di governo

V isto che l'abitudine di sentirsi al telefono con regolarità non l'hanno persa neanche dopo la pausa estiva, il fatto che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi s'incontrino a Palazzo Chigi per quasi due ore non passa certo inosservato. Anche perché sul tavolo del lungo faccia a faccia - presente il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti da una parte, Gianni Letta e Denis Verdini dall'altra - c'è un giro d'orizzonte a 360 gradi e non solo il delicato dossier della nuova legge elettorale.

Un faccia a faccia iniziato con un lungo preambolo sulla politica estera, affrontando sia la questione Ucraina («costringere all'angolo Putin con le sanzioni è un errore», ribadisce l'ex premier) che il capitolo Libia e la minaccia dell'Isis. Poi ci si concentra sull'Italia. Con Berlusconi che ribadisce la disponibilità a dare una mano in Parlamento sui diversi provvedimenti, ovviamente valutando caso per caso. D'altra parte, non è una novità che il leader di Forza Italia si dica pronto a «collaborare» qualora lo ritenga «conveniente per il Paese». Stesso discorso, quindi, sul Jobs Act. Con l'ex premier che di fatto offre una mano tesa a Renzi. D'altra parte - è il senso del ragionamento - di tutto ha bisogno l'Italia oggi fuorché di una crisi di governo o di nuove elezioni che rischierebbero di aprire la strada ad un commissariamento della troika formata da Fmi, Bce e Commissione Ue. Di qui la disponibilità di Berlusconi.

Prima di entrare nel merito della legge elettorale, poi, una breve digressione sul capitolo giustizia. L'ex premier elogia infatti il passaggio del discorso in Parlamento in cui Renzi - riferendosi alla vicenda Eni - ha puntato il dito contro gli avvisi di garanzia «più o meno citofonati sui giornali». «Bravo Matteo, mi sei proprio piaciuto», chiosa Berlusconi. Poi, un intervallo sportivo, con qualche scambio di battute sul Milan. D'altra parte, sia Guerini che Lotti sono di fede rossonera. «Dovete ringraziare che sono tornato ad occuparmene in prima persona. Avete visto - la butta lì Berlusconi - come si vede la mia impronta sulla squadra?».

Sulla riforma della legge elettorale, invece, i due sono d'accordo nel tirare dritto senza esitazioni. Non tanto perché davvero la ritengano una priorità per il Paese - che vista la situazione economica avrebbe bisogno soprattutto d'altro - quanto perché è l'unico strumento per fare pressione sul Parlamento e, quindi, su quei pezzi di Pd e Forza Italia che in queste settimane si stanno mostrando insofferenti. Portare a casa la nuova legge elettorale, infatti, è un modo per mettere sul tavolo la pistola delle elezioni anticipate. D'altra parte, anche se Guerini assicura che «non se ne è mai parlato» è chiaro che l'argomento è stato ampiamente affrontato.

Nel merito della riforma elettorale - raccontano da Palazzo Chigi - si sarebbe concordato su alcune modifiche alle soglie: dal 37,5 al 40% per accedere al premio di maggioranza (altrimenti si va al ballottaggio), mentre lo sbarramento d'ingresso passerebbe dall'8 al 5% per i partiti che non si coalizzano e dal 4,5 al 4% per quelli in coalizione.

Nessuna nuova, invece, sui giudici costituzionali. Una partita che non appassiona molto né Berlusconi né tantomeno un Renzi che vive il nome di Luciano Violante come un'imposizione.

Se il Quirinale è deciso a insistere affinché la partita si chiuda, insomma, non saranno loro a mettersi in mezzo. Di qui la decisione di non cambiare i cavalli in corsa: si continuerà quindi a puntare sui nomi di Donato Bruno e Violante.

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