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In cella uno su cinque prega Allah

I detenuti musulmani sono 11mila, dei quali tremila a rischio radicalizzazione

In cella uno su cinque prega Allah

Roma - Sono 204 gli istituti penitenziari attivi sul territorio nazionale che ospitano circa 55mila detenuti, dei quali 11mila provengono da Paesi islamici, secondo i dati forniti dal Sappe, il sindacato di Polizia penitenziaria. Dei musulmani che stanno scontando una pena in una delle carceri italiane, circa 7.500 sono islamici praticanti, ai quali si aggiungono 150 imam. La differenza, ovvero 3.300 persone, è rappresentata dai non osservanti, ma sono quelli che ogni giorno che gli integralisti tentano di convertire e radicalizzare.

Secondo quanto spiegato dal segretario generale del Sappe, Donato Capece «oggi, per il controllo sulla radicalizzazione in carcere, si monitorizzano 170 soggetti che sono attenzionati 24 ore al giorno. A questi se ne aggiungono altri 200, seguiti in maniera continuativa, per un totale di circa 370 soggetti che, in parte sono già praticanti, in parte interessati alla radicalizzaizione. Il personale di polizia penitenziaria riferisce di questi fenomeni di radicalizzazione attraverso il suo nucleo centrale investigativo al Casa (il Comitato di analisi strategica antiterrorismo), ovvero il tavolo permanente presieduto dal ministero dell'Interno, che coinvolge tutte le forze di polizia».

Nelle carceri ci sono oggi, per permettere la frequentazione del culto agli islamici 70 moschee, o meglio stanze adibite a moschea. Per questo motivo ci sono circa 20 imam che entrano ed escono per predicare. Oltre a questi, hanno accesso agli istituti carcerari, nel circuito di questa religione, circa 70 mediatori culturali, che interloquiscono tra la polizia penitenziaria e questi soggetti. In ogni penitenziario c'è, invece, una cappella in cui i detenuti di fede cristiana possono recarsi a pregare. Il numero delle moschee, però, è in netta crescita e aumenta col numero degli ospiti islamici.

Ciò che preoccupa maggiormente il sindacato della Polizia penitenziaria è che la maggior parte degli agenti non parla la lingua dei carcerati di fede islamica, che si esprimono, per lo più, in francese, oltre che in arabo.

Ecco perché sarebbero necessari corsi di formazione, utili a far sì che queste persone possano apprendere le lingue al fine di controllare puntualmente questi soggetti, possibili terroristi che, in futuro, potrebbero mettere in atto attentati nelle città italiane.

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