Essere un pregiudicato, ed essere considerato tuttora pericoloso, non è un buon motivo per venire privato dal Questore del diritto di possedere e usare un cellulare: perché comunicare a distanza è un diritto del cittadino, chiunque egli sia. A sancire il principio è ieri la Corte Costituzionale che abroga l'articolo del Codice antimafia che consentiva alla polizia di vietare il cellulare a soggetti considerati «a rischio». Una prassi di cui si sapeva poco, ma che a quanto pare veniva applicata con una certa frequenza. Chi disobbediva rischiava di finire sotto procedimento penale.
Il Codice antimafia, in realtà, eredita una norma degli anni Cinquanta che consentiva ai questori di proibire l'utilizzo di «apparati radiotrasmittenti». Ma se all'epoca nella categoria rientravano solo walkie talkie, baracchini e altri attrezzi specialistici, oggi la definizione comprende - come scrivono i giudici - «non solo i telefoni cellulari, ma anche i tablet, gli smartwatch e gli apparati pc». Applicando alla lettera la norma si azzererebbero in buona parte i rapporti sociali che, soprattutto dopo il Covid, avvengono soprattutto a distanze e «solo attraverso apparati radiotrasmittenti».
«Rivelerebbe - aggiungono i giudici - un senso d'irrealtà l'obiezione per cui la libertà di comunicare, privata del telefono mobile, ben potrebbe ancora oggi essere soddisfatta attraverso mezzi diversi, come gli apparati di telefonia fissa». Libertà di telefonino per tutti, dunque. Tranne nei rarissimi casi in cui a decidere il black out sia l'autorità giudiziaria.
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