
Una pubblica accusa ricusata come il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi perché avrebbe concordato con personaggi estranei alle indagini come gestire il processo. Un presidente del Tribunale accusato di aver "comprato in nero case dai mafiosi" come l'ex pm Antimafia Giuseppe Pignatone, nei guai a Caltanissetta per aver occultato un'indagine che per i pm sarebbe costata la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un testimone subornato non dal principale indagato ma da due persone gonfie di malanimo e risentimento, come rivelerebbero alcune chat tra il 9 agosto 2020 e il maggio 2024, con tanto di dazione di denaro (15mila euro) su cui indagano i pm. Eccolo, per citare l'omonimo libro di Alberto Vacca presentato nei giorni scorsi a Roma dai Quaderni radicali, il "pasticciaccio brutto" del processo a monsignor Giovanni Angelo Becciu.
L'ex sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, difeso dagli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, è stato condannato nel dicembre 2023 a cinque anni e sei mesi per un peculato senza pecunia (non si è intascato un soldo, dice la sentenza) dopo la svendita di un palazzo londinese, costata almeno 139 milioni di euro alle esangui casse vaticane e decisa per contenere il rosso dei fondi riservati della Segretaria di Stato quando però il prelato sardo - per questo verdetto autoesclusosi dal Conclave - era già alla Congregazione dei santi.
All'istanza di ricusazione di Diddi, presentata anche da altri tre dei dieci imputati a processo - Enrico Crasso, Raffaele Mincione e Fabrizio Tirabassi - nella prima udienza del processo d'appello (foto) davanti al decano della Rota romana monsignor Alejandro Arellano Cedillo (affiancato da due giudici laici) ci sono le chat tra lo stesso Diddi, le due grandi accusatrici del cardinale Becciu Francesca Immacolata Chaouqui e Genevieve Ciferri e quelle tra quest'ultima - ex analista Aise legatissima al superteste Alberto Perlasca - e il successore di Becciu Edgar Pena Parra, da cui emergerebbe la subornazione di Perlasca e la sua "trasformazione" da colpevole a vittima.
"Finalmente posso difendermi da una serie di illazioni", replica Diddi, che le chat le ha omissate dicendo che avrebbe indagato ma senza esito. Molte delle tesi accusatorie sarebbero ampiamente smentite dalle chat, depositate da Mincione all'Onu e di cui le difese chiedono l'acquisizione.
Cosa succederà adesso? Le udienze andranno avanti fino a giovedì (oggi si discute di questioni tecniche e formali) Diddi si è preso tre giorni per le sue controdeduzioni, la Corte d'Appello manderà ai giudici del Palazzaccio vaticano (quattro cardinali guidati da un giudice laico) la richiesta di ricusazione.
L'eventuale sostituzione di Diddi (cittadino vaticano assieme a Pignatone grazie a un motu proprio di Bergoglio a un pugno di giorni dalla sentenza di primo grado) così come la probabile acquisizione delle chat porterebbero il processo ad allungarsi ulteriormente, con un grave danno d'immagine per il Vaticano, uscito già malconcio da un verdetto viziato da troppi sospetti e da quattro "rescripta" delle regole processuali decise in corsa da Papa Francesco, che come emerge dalle chat sarebbe stato mal informato sulle presunte ruberie del cardinale strombazzate dall'Espresso e da Report, di cui non c'è traccia nella sentenza. Per Papa Leone XIV, che ha parlato con Becciu e ha visto i principali protagonisti di questo processo (tranne la Chaoqui, che si è rifiutato di incontrare), sarà un calice che si annuncia comunque amaro.