Da chi si finge morto a chi apre un ristorante. Ecco chi sono i 34 assassini ancora in libertà

Di molti si sa dove sono ma non si riesce a portarli a casa. Con quelche eccezione

Da chi si finge morto a chi apre un ristorante. Ecco chi sono i 34  assassini ancora in libertà

É la lista ufficiale dei fuggitivi. Quella che circola negli uffici dell'Interpol. Trentaquattro nomi di ricercati che col tempo sono diventati imprendibili: quasi tutti terroristi rossi legati alla Spoon River degli anni Settanta e Ottanta. Qualcuno probabilmente è morto, di altri si sono perse le tracce, ma molti sono, teoricamente, a portata di mano. Si sa dove abitano ma non si riesce a riportarli in Italia anche se sono passati decenni da quei delitti e da quelle pagine di sangue. É il caso appunto di Cesare Battisti, inseguito, come ha raccontato al Giornale il sottosegretario Cosimo Ferri, dal lontano 2003: prima in Francia, dove aveva provato a stanarlo l'allora Guardasigilli Roberto Castelli, e ora in Brasile. In Francia risiede anche Giorgio Pietrostefani, dirigente di Lotta continua, ritenuto con Adriano Sofri il mandante dell'assassinio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972, il prologo degli anni di piombo.

Gli ex brigatisti e i reduci delle altre formazioni della galassia terroristica hanno trovato rifugio e protezione un po' ovunque, aiutati qualche volta dal passaporto di un altro Paese o da un matrimonio all'altro capo del mondo. Cosi alcuni nomi, pesi massimi della storia dell'eversione, sono diventati bersagli virtuali. Si sa benissimo che, a parte improbabili colpi di scena, non verranno più acciuffati anche se sulle spalle hanno una condanna che non va mai in prescrizione: l'ergastolo. É la situazione in cui si trovano Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, due membri del commando che il 16 marzo 1978 in via Fani a Roma rapi Aldo Moro e sterminò la sua scorta. Lojacono è diventato cittadino svizzero per via della madre ed è inavvicinabile; stesso discorso per Casimirri che si è sposato in Nicaragua, ha ottenuto la cittadinanza, oggi ha un ristorante a Managua.

In Sudamerica, più precisamente in Perù, erano arrivati ormai molti anni fa Oscar Tagliaferri e Maurizio Baldasseroni, protagonisti di uno degli episodi più feroci e, se possibile, insensati, di quell'interminabile mattanza: la strage di via Adige a Milano, il 1 dicembre 1978. Tre morti, ammazzati a fucilate. Un massacro compiuto non in nome dell'ideologia, ma dettato da futili motivi, tanto che i due furono buttati fuori da Prima linea cui avevano chiesto invano una copertura e la rivendicazione del gesto, ma aiutati ad espatriare. Ora,a distanza di tanto tempo, Baldasseroni è stato dichiarato morto, Tagliaferri è invece sempre presente negli archivi dell'Interpol e dell'intelligence.

É invece considerato un irriducibile Claudio Lavazza, il cui percorso coincide per un tratto con quello di Cesare Battisti. I due vengono condannati al carcere a vita per i quattro omicidi compiuti dai Pac, i Proletari armati per il comunismo, una meteora nella storia dell'eversione. Poi però prendono strade diverse: Battisti comincia la partita al gatto e al topo con la giustizia italiana, Lavazza entra nell'orbita dell'anarchia e viene arrestato in Spagna nel 1996 dopo una rapina ad una banca. Ventuno anni dopo è ancora in prigione e dalla sua cella lancia proclami contro il Fies, l'equivalente spagnolo del 41 bis.

Ma il destino di Lavazza è segnato: conclusa la detenzione in Spagna, lo attendono le carceri italiane e quelle francesi con condanne severissime e un fine pena lontanissimo sul calendario. Gli anni di piombo non passano mai.

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