Afghanistan in fiamme

La Chiesa nel mirino

In clandestinità per non essere uccisi, si ritrovano nei sotterranei. Portato in salvo il barnabita dell'unica cappella in ambasciata e le suore. "Per Kabul non c'è più speranza"

La Chiesa nel mirino

«Ai talebani dico: siate umani e rispettate sia gli uomini che le donne. E lo stesso rispetto vale per il luoghi di culto, come la chiesa dentro l'ambasciata» è l'appello che padre Giuseppe Moretti lancia attraverso il Giornale. Veterano barnabita, che ha passato a fasi alterne 18 anni in Afghanistan proprio nella piccola chiesa dentro l'aera della sede diplomatica del nostro paese, oramai abbandonata dopo l'arrivo dei talebani a Kabul.

L'unica chiesa in Afghanistan, che chiude a 100 anni dal trattato fra il re Amanullah, il prima monarca dell'indipendenza e l'Italia del 3 giugno del 1921. L'impegno sempre rispettato dai barnabiti «era di non fare proselitismo - spiega Moretti - Il nostro compito è stato guidare i cristiani non afghani» come i diplomatici o le truppe straniere. Il barnabita ammette che «cristiani locali ce ne saranno, ma a chi si converte spetta la condanna a morte» anche prima dei talebani. I credenti di Gesù in Afghanistan, che sarebbero oltre un migliaio, vivono nascosti e professano la fede in segreto. Il Dipartimento di stato americano stima che ci possono essere fra i 500 e 8mila fedeli soprattutto evangelici e protestanti. L'edizione clandestina della Bibbia in farsi, una delle lingue nazionali afghane, circola anche in rete. Il Nuovo testamento è disponibile in pasthun, la lingua dell'etnia maggioritaria talebana. Ali Ehsani, esule afghano in Italia, è un cristiano che negli ultimi giorni ha lanciato l'allarme ai fedeli di Gesù: «Le violenze sono già iniziate. Il padre di una famiglia con cui sono in contatto è scomparso». La moglie e i cinque figli erano terrorizzati e si spostavano di continuo per non venire intercettati dai talebani. «Vorrei far conoscere questa storia a papa Francesco» ha dichiarato l'esule afghano. Grazie alla fondazione Meet Human la famiglia cristiana è stata mesa in salvo dal ponte aereo italiano.

Secondo un rapporto della fondazione pontificia, Aiuto alla chiesa che soffre, «i cristiani afghani praticano il culto da soli, o in piccoli gruppi, esclusivamente all'interno di abitazioni private. Secondo le organizzazioni missionarie in tutto il paese vi sono piccole chiese domestiche sotterranee, ognuna delle quali non conta più di 10 fedeli». Una fonte afghana a Kabul spiega che «molti si convertono nella speranza di uscire dal girone della povertà». Nella capitale diversi convertiti lavoravano per le organizzazioni internazionali. «Viviamo una doppia vita. Non possiamo mostrare la nostra fede, verrei ucciso e sarebbe per prima la mia famiglia a pretenderlo» aveva rivelato al Giornale un cristiano di Kabul. Il convertito Abdel Rahman condannato a morte e poi espulso grazie all'intervento del nostro paese era diventato uno strumento di propaganda per i talebani. Nei vent'anni della Nato anche traduttori e collaboratori dei militari stranieri, a cominciare dagli americani della grande base di Bagram, sono stati irretiti dalla conversione. Non esisteva alcun «piano dei crociati», come invece accusavano i talebani. Singoli cappellani militari o soldati portavano con loro qualche volantino, un Vangelo o una Bibbia di troppo. Da Kabul sono stati evacuati mercoledì scorso con il ponte aereo il barnabita Giovanni Scalese parroco della chiesa in ambasciata e cinque suore con 14 bambini disabili che accudivano nella capitale. Le sorelle di Madre Teresa di Calcutta avevano avviato da vent'anni un'organizzazione fondata in risposta all'appello di Giovanni Paolo II di «salvare i bambini afghani». In pubblico non potevano professare la loro fede. Padre Moretti spiega che venivano apprezzate per la «presenza silenziosa, ma operosa». Le suore rientrate in Italia hanno tristemente ammesso: «Siamo distrutte.

È tutto finito, non c'è speranza a Kabul».

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