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Ciampi, il primo tecnico a guidare un governo (poi al Colle per acclamazione)

Dopo la laurea in Lettere conseguita alla Normale avrebbe voluto insegnare. Vinto un concorso restò alla Banca d'Italia per 47 anni, di cui 14 come governatore. Governò il Paese negli anni cruciali 1993-94, quando la Prima Repubblica stava crollando

Ciampi, il primo tecnico a guidare un governo (poi al Colle per acclamazione)

Fu il secondo governatore della Banca d’Italia chiamato a guidare la Repubblica. Carlo Azeglio Ciampi salì al Colle nel 1999, eletto al primo scrutinio, come era già successo per Cossiga nel 1985. Ottenne 707 voti su 1010. Decisiva, per la sua ascesa al Quirinale, fu il governo che guidò dall’aprile 1993 al maggio 1994. L’ex governatore della Banca d’Italia fu chiamato a guidare le sorti del Paese in un momento assai difficile, di transizione tra la Prima e la Seconda Repubblica, con la vecchia classe politica mal ridotta per lo scandalo sui finanziamenti illeciti (Tangentopoli) e l’attacco frontale della mafia alle istituzioni, con gli attentati del 1992 e 1993.

Ciampi fu il primo presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica e scelse i suoi ministri in modo del tutto autonomo. Diede il via alle grandi privatizzazioni dello Stato, di cui si parlava da un po’, per qualcuno una grande operazione politico finanziaria, per altri una clamorosa svendita dei tesori dello Stato.

Nato a Livorno nel 1920 Ciampi frequentò una scuola retta dai gesuiti e, con due anni di anticipo visti i risultati conseguiti, conseguì la maturità liceale. Ammesso a frequentare la Scuola Normale di Pisa, nel corso di lettere, superò la selezione con il professor Giovanni Gentile. Laureatosi nel 1941, ottenne una cattedra in Lettere in un liceo di Livorno, ma fu chiamato alle armi con il grado di sottotenente e mandato sul fronte in Albania. Dopo l’8 settembre 1943 si trovava in licenza in Italia e rifiutò di aderire alla Repubblica sociale, decidendo di darsi alla macchia. Si rifugiò in un piccolo paese di montagna in Abruzzo, a Scanno, dove incontrò un suo vecchio professore liberale, Guido Calogero, che era stato mandato al confino per il suo antifascismo.

Con un gruppo di antifascisti e alcuni sfuggiti ai tedeschi nel marzo 1944 si mise in cammino, a piedi, per raggiungere gli Alleati, sfidando la neve e la avversità del tempo. Una marcia estremamente difficile, che attraversò la Maiella, fino ad arrivare a Casoli (Chieti). Poi Ciampi proseguì per Bari e si unì al rinato Esercito italiano, fedele al re e a Badoglio. Influenzato da Calogero aderì al Partito d’Azione, di idee liberalsocialiste, restandovi fino al 1947. Dopo non fece più parte di alcuna formazione politica, pur restando di idee progressiste.

Tornato alla vita civile prese una seconda laurea in Legge, si sposò con una compagna di studi conosciuta alla Normale (Franca Pilla), vinse il concorso per entrare alla Banca d’Italia, dove rimase per 47 anni, quattordici dei quali come governatore.

Europeista convinto

Nel 1980 in un testo ufficiale come governatore della Banca d’Italia Ciampi sostenne che l’Italia avrebbe dovuto “aggrapparsi con tutte le sue forze al chiodo dell’Europa”. Questo, e solo questo, avrebbe permesso al nostro Paese di potersi salvare, superando il rischio insiti in una società e di un sistema economico che non voleva ammettere regole né disciplina. Con lui alla guida di Palazzo Koch l’Italia mise in atto diverse svalutazioni della lira, riuscendo in questo modo a far restare competitive le merci italiane nei mercati internazionali. D’accordo col ministro del Tesoro dc Andreatta portò avanti la separazione delle sorti tra la Banca d’Italia e il governo (nella fattispecie il ministero del Tesoro): con questa mossa intendeva contrastare l’inflazione galoppante e, soprattutto, restare vincolato allo Sme (sistema monetario europeo), legando l’Italia alle altre potenze europee.

In seno all’organismo dei dodici presidenti delle banche centrali europee, Ciampi riuscì a far passare il principio di una politica monetaria condivisa e, nel 1987, la creazione di una banca centrale unica, a cui tutte le altre facessero riferimento. I primi mattoni economici, questi, della futura Unione europea.

Non furono tutte rose e fiori nella sua esperienza alla guida della banca d’Italia. Nel pieno di una drammatica crisi finanziaria, con il governo Amato costretto a varare una manovra lacrime e sangue da 93mila miliardi di lire e l’attacco degli speculatori internazionali contro il nostro Paese, l’Italia fu costretta ad uscire dal sistema dello Sme. Fu un’onta per Ciampi, che rassegnò le proprie dimissioni, respinte da Amato.

La politica della concertazione

Per riuscire a governare la grave crisi finanziaria che attanagliava il Paese il capo del governo Ciampi varò il sistema della concertazione, che altro non era che una forte opera di mediazione con le varie parti sociali, coinvolgendo direttamente i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro. Alcune significative concessioni ai sindacati permisero di intervenire sulla politica dei redditi (contratti nazionali), facendo risparmiare molte risorse allo Stato e risolvendo alcune crisi che bloccavano il Paese.

Dentro l'Euro a tutti i costi

Da ministro del Tesoro, con Prodi e poi con D'Alema alla guida del governo, Ciampi fu uno dei massimi artefici delle manovre messe in atto per fare entrare l'Italia nella moneta unica europea, suo vecchio pallino. Lo sforzo costò caro agli italiani, l'eurotassa fruttò 4.300 miliardi delle vecchie lire, poi restituita al 60%. Le tasse aumentarono e il deficit, con un grande sforzo, venne ridotto: tutto per rassicurare le piazze finanziarie sulla buona volontà degli italiani nel fare le cose per bene. "Il miracolo di aver abbassato il nostro disavanzo dal 7% a meno del 3% non è avvenuto per caso - rivendicò con orgoglio Ciampi - ma deriva dall’aver operato tutti insieme per cercare di affermare la dignità dell’Italia". Inizialmente era previsto che l'Italia entrasse nell'Euro nel 1998, un anno dopo gli altri paesi fondatori. La svolta ci fu a Valencia, in Spagna, nel settembre 1996. Il governo presieduto da Aznar fece sapere di voler entrare nell'Euro, nel gruppo dei primi.

L'Italia si rese conto di dover tentare il colpaccio: non attendere più un anno per l'ingresso ma giocare di anticipo, puntando sul fatto di essere uno dei primi paesi che aveva dato vita alla Comunità economica europea. "Potremmo entrare in un secondo tempo - disse Ciampi in consiglio dei ministri - ma non sarebbe la stessa cosa. Senza l’Italia nascerebbe un euro a larga prevalenza mitteleuropea".

Arrivò l'eurotassa e pure una robusta manovra correttiva. Alla fine l'Eurostat, che teneva sotto controllo tutti i numeri dei Paesi, certificò che l'Italia era in regola. Non si sa ancora come (forse qualche numero fu abbellito, se così si può dire) ma il governo italiano riuscì a convincere anche i più arcigni ministri del Nord Europa, sempre molto scettici nei confronti dei paesi mediterranei. All'inizio di maggio 1998 il Consiglio europeo fissò la parità tra l'Euro e le monete nazionali. La sfida era stata vita. Costò molto cara agli italiani, soprattutto per la grande perdita del potere d'acquisto. Ma questo è un altro discorso..

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