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Il ciellino col viso da bravo ragazzo che sognava di scalare Milano

Cresciuto con Formigoni, assessore con Albertini. È passato da fedelissimo del Cav a regista dello strappo

Il ciellino col viso da bravo ragazzo che sognava di scalare Milano

Berlusconiano ieri, renziano oggi. Con lo stesso zelo. Lo stesso impegno. La stessa voglia di metterci la faccia da eterno bravo ragazzo. Oggi Maurizio Lupi attraversa la strettoia più insidiosa della sua fin qui immacolata carriera. Ai tempi dell'Università è uno dei giovani più promettenti nella nidiata cresciuta alla scuola del già rampante Roberto Formigoni. Sono quattro o cinque amici che poi prenderanno strade diverse e talvolta controverse, come spesso è la vita: Mario Mauro, che costruirà il suo percorso politico fra Strasburgo e Bruxelles e romperà con Berlusconi, con una certa dose di coraggio, ben prima degli amici Lupi e Formigoni; poi Antonio Intiglietta che s'inventerà una delle kermesse più affollate al mondo come Artigiano in Fiera; Antonio Simone, prima potente assessore al Pirellone e poi imprenditore, fra disavventure e risurrezioni; infine Giorgio Vittadini che sceglierà il profilo alto della Fondazione per la Sussidiarietà.

Lupi cresce e ben presto mostra il suo talento. Poliforme: entra nella giunta Albertini lasciando un'ottima impronta e distinguendosi come assessore all'urbanistica capace e competente. Ma anche questa poltrona strategica gli sta stretta e lui scala molte posizioni dentro Forza Italia, guadagnando consensi e stima pure fuori dal perimetro ciellino. Approda in parlamento e s'inventa l'Intergruppo per la sussidiarietà che sviluppa aggregazioni e consensi trasversali, rompendo la logica del dileggio e dell'insulto. Ma non bisogna pensare a lui come a un vecchio esemplare democristiano, di quelli che stanno un po' di qual e un po' di là. Con tutti e contro nessuno.

No, per una lunga stagione Lupi, il Lupi sempre più emergente, diventa uno degli avvocati difensori più gettonati del Cavaliere. Non si tira mai indietro, complice anche la padronanza dei media, va in tv anche quando la corsia opposta è affollata fino all'ingorgo.

Resiste alla corte di Arcore quando Mauro, uno dei compagni di avventura di una vita, decide il grande e sciagurato salto sul carro montiano e anzi contribuisce a creare l'iconografia della sobrietà. Berlusconiano per passione e per dovere, a volte quasi come e più del capo. Il suo spessore è innegabile e il suo momento arriva nella stagione spuria e ibrida di Enrico Letta quando occorre lanciare, fra scandali e ballo dello spread, facce nuove: la sua è perfetta. Anche se ormai è un uomo maturo, ben oltre la cinquantina, sia pure sempre travestito da ex bravo ragazzo. Lupi vanta un curriculum lungo e prestigioso, con molte esperienze compresa la vicepresidenza della Camera. Dunque diventa ministro delle Infrastrutture e da quella carica, insieme ad Angelino Alfano, compie la sua metamorfosi. Abbandona al suo destino dalla sera alla mattina il Cavaliere lanciando il Nuovo centrodestra. E tradisce pure Letta, mollando gli ormeggi in direzione Renzi. Gli altri cadono, lui resta alle Infrastrutture e qui conduce una battaglia che oggi affiora dalle intercettazioni e dai dialoghi con il potentissimo Ercole Incalza: cerca di tenere sotto il suo ombrello quella struttura di missione strategica per molti appalti e che invece Palazzo Chigi vorrebbe gestire direttamente, senza mediazioni.

Intanto si spende per tenere alta la bandiera riformista, o presunta tale, del governo Renzi. Il limite, sempre più evidente, è quello di portare acqua al mulino della sinistra renziana senza riuscire a piantare la propria bandierina e dunque senza catturare gli elettori di un mondo moderato sempre più frastornato e diviso. Alle Europee sgomita sfilando a Mauro il posto ambito di capolista nel Nord Ovest: è il trampolino verso il suo sogno, quello di diventare sindaco di Milano nel 2016 sfilando la città alla giunta arancione-rossa di Pisapia. Vince ma non stravince, provocando un'ulteriore frattura nell'universo a trazione ciellina che prima era compatto e ora si ritrova spacchettato: i formigoniani, i lupiani, i mauriani, gli scettici. Ora Renzi, che privilegia il bilancino del peso popolare, pare pronto a scaricarlo senza tanti complimenti. Ridimensionando così la forza del partito satellite. Le accuse sono un titolo ghiotto, ma la loro consistenza è tutta da valutare. L'amicizia con Stefano Perotti, per esempio, risale nel tempo e non si presta ad una facile, quasi scontata lettura affaristica.

Ma i distinguo e le postille in certi momenti sono un lusso che non ci si può permettere.

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