La Cina guida il boom di imprese straniere

Cresciute del 34% da 2009. Spediti 5 miliardi di euro nei Paesi d'origine

La Cina guida il boom di imprese straniere

Cina, Marocco e Romania dominano l'imprenditoria straniera in Italia. Che cresce mentre quella italiana, quasi specularmente, diminuisce. Secondo un'indagine della Cgia di Mestre hanno raggiunto quota 805.477 i titolari o soci d'azienda di origine straniera nel nostro Paese, con un incremento del 2,5 per cento tra il 2016 e il 2017: un trend che l'anno scorso ha fruttato rimesse, cioè soldi inviati dagli immigrati lavoratori nei loro paesi d'origine, per 5 miliardi di euro. A guidare la classifica ci sono gli imprenditori cinesi che in un solo anno sono aumentati del 4,5 per cento: a dicembre 2017 se ne contavano 80.514, davanti a 79.391 marocchini, 77.082 romeni e 46.974 albanesi.

Il contrasto con la parallela decrescita di quelli italiani balza agli occhi allungando lo sguardo indietro fino al 2009. Infatti negli ultimi otto anni, quelli della crisi e della recessione, l'imprenditoria straniera è cresciuta di 600mila unità, pari al 34 per cento, mentre il mondo produttivo nostrano lasciava per strada la stessa cifra di imprese fallite o chiuse: i titolari italiani sono scesi da 8,9 milioni a meno di 8,3 milioni, con una riduzione del 7,5 per cento. A trascinare l'ascesa straniera nel periodo più buio della nostra economia è stato ancora l'Impero celeste, che dal 2009 ha più che raddoppiato il suo business nel Belpaese: le aziende sono cresciute del 61,5 per cento. Così oggi su oltre 290.600 cinesi residenti in Italia, 80.500 guidano un'attività: non solo nel commercio, ma anche nel manifatturiero e nella ristorazione, oltre nel settore dell'estetica e massaggi in forte espansione (+10% nel 2017). La Lombardia è la regione più fertile all'insediamento di aziende di proprietà cinese: 6,5 per cento in più nell'ultimo anno. Seguono la Toscana, il Veneto e l'Emilia Romagna. Territori in cui si concentra oltre il 62 per cento del totale del made in China.

Il giro d'affari ha permesso nel 2017 di inviare oltreoceano rimesse per 136 milioni di euro, in netto calo rispetto ai 2,6 miliardi trasferiti nel 2012. Un crollo spiegato con la «maggiore propensione dei cinesi a investire in Italia», e con «l'intensificazione dei controlli» sulle transazioni attraverso money transfer. «Sebbene in alcune aree del nostro Paese esistono delle sacche di illegalità riconducibili all'imprenditoria cinese che alimentano l'economia sommersa e il mercato della contraffazione spiega il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia Paolo Zabeo non dobbiamo dimenticare che i migranti cinesi si sono contraddistinti per una forte vocazione alle attività di business. Nel momento in cui lasciano il Paese d'origine, infatti, sono tra gli stranieri più abili nell'impiegare le reti etniche per realizzare il loro progetto migratorio che si realizza con l'apertura di un'attività economica». A guardare però la classifica delle nazionalità degli imprenditori che negli ultimi anni sono stati più attivi nel fare affari in Italia spicca il Bangladesh.

I titolari bengalesi sono aumentati del 167 per cento dal 2009 a oggi, e del 2,5 solo nell'ultimo anno. In assoluto sono i primi per ritmo di crescita sul lungo periodo, seguiti da pakistani (+140%) e a distanza dai nigeriani (+100%).

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