Se è vero che la lingua e l'integrazione nelle scuole sono la base per formare i futuri «nuovi italiani», la legge sullo ius soli voluta dal governo si annuncia come un ennesimo slogan. Per capirlo occorre tornare indietro al 2015, quando decollava la «Buona Scuola» di Matteo Renzi e l'allora ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, prometteva un rivoluzionario concorso docenti per l'insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri delle scuole secondarie di primo e secondo grado, dove si concentra parte di quel 9% di studenti immigrati che compone la nostra popolazione scolastica. Perché, era il mantra, la lingua italiana è il primo passo verso l'integrazione. La stessa integrazione che secondo il testo in Aula al Senato dovrebbe realizzarsi in cinque anni di ciclo scolastico - il cosiddetto «ius culturae» - tanto da consegnare a chi li completa il pass per ottenere la cittadinanza. Peccato che di quelle cattedre annunciate, a distanza di tre anni, non vi sia traccia. Nonostante il concorso sia stato fatto nel 2016 con tanto di 506 posti a bando e con dei candidati risultati vincitori. Nello schema di decreto interministeriale del 15 maggio con cui il Miur stabilisce gli organici del triennio 2016-2019 di loro non v'è nemmeno l'ombra. Se non nelle «due unità» destinate ai Cpia, i centri per l'istruzione degli adulti, poche decine di strutture circa in tutta Italia. Zero assegnazioni nelle scuole secondarie, quelle che secondo gli ideologi dello ius soli dovrebbero contribuire a forgiare i nuovi italiani sui valori della Costituzione. Nemmeno un accenno ai «laboratori di italiano nelle scuole primarie».
Eppure, a sentire i buoni propositi del governo, la nuova classe di concorso «A023-Lingua italiana per discenti di lingua straniera» specifica per alloglotti, doveva servire a evitare i muri di ghettizzazione e di emarginazione che si creano in certe classi con alte percentuali di stranieri. Tanto che erano previsti 101 posti in Lombardia, 49 nel Lazio, 54 in Emilia Romagna, 43 in Toscana, regioni con un elevato tasso di studenti non italiani. La denuncia è del presidente del sindacato Anief e segretario confederale della Cisal, Marcello Pacifico: «Qualcosa nella catena organizzativa ministeriale deve essere andato storto: a un anno di distanza da un concorso a cattedra su questa disciplina, gli uffici scolastici non sembrano conoscerne l'esistenza. Il decreto sugli organici del prossimo anno non contiene nemmeno un posto per l'insegnamento agli alloglotti, tranne che due unità Cpia. Questi docenti erano stati selezionati per soddisfare precise esigenze». Se è vero che spetta agli uffici scolastici regionali mettere nero su bianco il fabbisogno delle regioni, di scritto nella bozza del decreto Miur ci sono solo due righe in cui «si raccomanda di garantire l'istituzione nell'organico di potenziamento dei Cpia di almeno due posti di italiano per alloglotti».
Rischia dunque di avverarsi un'inconsapevole profezia dell'ex ministro Giannini, che del nuovo insegnamento così parlava alla Camera in un'audizione del marzo 2015: «Avrà una base scientifica molto solida e dovrà essere declinato in collaborazione con gli enti locali e
le associazioni territoriali - diceva - perché è un bellissimo schema teorico ma, se non trova applicazione nelle scuole e nei centri per l'istruzione degli adulti, rimane uno strumento potente ma non effettivo». Appunto.
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