Il clan del "Fatto" in tilt su Scarpinato

Il quotidiano di Travaglio fa quadrato sull'ex pg ora nel mirino per il caso Borsellino

Il clan del "Fatto" in tilt su Scarpinato
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Giornalisti sull'orlo di una crisi di nervi. La famiglia «di fatto» del Fatto quotidiano ieri ha schierato la migliore contraerea per difendere il suo figlioccio Roberto Scarpinato. Editoriale di Marco Travaglio in prima pagina, pezzone a pagina due, commento di Gian Carlo Caselli e paginata di Marco Lillo. Segno che l'indagine di Caltanissetta sulla morte di Paolo Borsellino ha colpito nel segno. L'ex Pg è stato pizzicato mentre avrebbe concordato con l'allora collega Gioacchino Natoli cosa dire e cosa no in commissione Antimafia sul famigerato dossier Mafia-appalti scritto dai Ros guidati da Mario Mori e frettolosamente insabbiato dall'ex procuratore capo di Palermo Giuseppe Pignatone, infine archiviato da Scarpinato una volta tumulato Borsellino. La presidente Chiara Colosimo vorrebbe escludere i componenti in «conflitto d'interessi». Scarpinato chiede di sapere cosa c'è in quelle intercettazioni, illegittime perché è protetto dalle sue prerogative parlamentari (vero). Il Fatto ha paura e diventa garantista e Cassazione. «Natoli ha detto la verità e non c'è motivo di indagarlo. Se Scarpinato e Federico Cafiero de Raho (sfiorato dai dossieraggi di cui è accusato il suo ex ufficiale Pasquale Striano, ndr) avessero fatto qualcosa di male o d'illecito, sarebbe doveroso indagarli, intercettarli, arrestarli e condannarli. Ma non hanno fatto nulla». Quelle intercettazioni per Travaglio sono «irrilevanti» (ma chi lo decide? Lui?) eppure «i pm le girano all'Antimafia». Concordare una versione, come teme Caltanissetta, per Travaglio non è reato ma «parlare liberamente come vecchi amici». Interessante.

A pagina due ci pensa Giuseppe Pipitone a spandere fango sulla commissione, in passato alle prese con «conflitti d'interessi» ben peggiori (e lo scopre solo oggi?), a superarsi è l'ex procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, che per salvare il suo scudiero si rimangia le sue stesse parole. «La Colosimo ha negato l'accesso alle sue intercettazioni effettuate contro legge». Ma è lo stesso Caselli che solo qualche anno fa a Repubblica teorizzava il diritto di sapere tutto? «La pubblicazione delle intercettazioni può svelare i cosiddetti arcana imperii ed è proprio questo che il potere non gradisce». La definizione arriva dagli Annales e dalle Histories di Tacito, occultare le scelte e l'agire politico per lo storico era la chiave per dominare Roma. Esattamente ciò che spioni e hacker stanno cercando di fare per indebolire questo esecutivo. Ecco perché serve la verità sui dossieraggi e sulle dinamiche dentro la Direzione nazionale antimafia, laddove - lo dice Striano - «si pensa più alle lotte di potere che alla mafia», tanto che la 'ndrangheta è più forte di sempre. Marco Lillo a pagina 21 si supera: disseppellisce Silvio Berlusconi e il teorema illogico per Storia e sentenze che lo vede «mandante esterno delle stragi di mafia», getta fango sulla famiglia Borsellino definendo «opinabili» i loro sospetti su Natoli e Pignatone, non vuole che Mori - il cui lavoro viene riabilitato proprio da Caltanissetta - deponga in Antimafia sul dossier se non c'è Scarpinato a fare domande.

È Matteo Renzi, a sua volta illegalmente spiato eppure sputtanato sul Fatto, a scrivere il migliore epitaffio sull'ex magistrato: «L'atteggiamento di Scarpinato, preso con le mani nel sacco che chiede di distruggere le intercettazioni, ha un solo nome: ipocrisia». L'ex premier sogna di leggere oggi sul Fatto «un editoriale dal titolo: Di cosa si vergogna Scarpinato per chiedere di distruggere le sue intercettazioni?». Dorma pure tranquillo, non succederà.

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