Coronavirus

"Codogno due mesi dopo. Quelle bare nella chiesa non le potremo scordare"

Il parroco del paese dal primo contagio: "Niente più scambio della pace, ma lo faremo col cuore"

Codogno deserta (La Presse)
Codogno deserta (La Presse)

Ha visto sofferenza, dolore e morte tra i suoi fedeli. Isolati da due mesi, a Codogno si cerca di guardare avanti, con senso di responsabilità, ma anche con timori per il futuro e per il lavoro.

Monsignor Iginio Passerini è parroco unico di Codogno, focolaio del coronavirus che finora ha registrato oltre 300 contagi e più di 185 morti. «Una situazione mai vista, su una popolazione di 16mila abitanti. Mai mi sarei aspettato di vivere una Pasqua con 20 feretri in parrocchia», dice commosso il parroco.

Codogno, due mesi dopo. Che bilancio può tracciare?

«Vedo tra la gente un grande senso di responsabilità. Anche di fronte a tempi così lunghi e incertezza sulle possibili riaperture, le reazioni sono composte, di pazienza e di disponibilità. Un atteggiamento che va premiato e riconosciuto. Siamo stati i primi a isolarci, siamo ancora chiusi. Va riconosciuto che c'è un atteggiamento di cittadinanza responsabile, pur nella paura e nella sofferenza».

Come è la situazione ora?

«Siamo ancora isolati, si esce in modo misurato. Siamo in attesa fiduciosa di una ripresa. La preoccupazione più forte è per il lavoro. Tanti stanno aspettando di riprendere l'attività, qua a Codogno ci sono molte imprese, che ancora sono ferme. E poi, c'è l'ospedale che è chiuso; auspichiamo la riapertura appena terminerà l'emergenza».

Si parla della Fase 2. Quando si potranno riaprire le chiese ai fedeli? E in che modalità?

«Siamo stati responsabili, come chiesa italiana, a rispettare le indicazioni restrittive delle istituzioni. Ma appena riparte il resto, penso sia giusto che riprendano anche le messe, pur con una partecipazione controllata. È in corso un dialogo tra Cei e governo sui tempi e le modalità di ripresa delle celebrazioni. Io auspico che avvenga presto, già dal 4 maggio. Sono due mesi che non celebriamo con i fedeli. Naturalmente anche in chiesa la riapertura sarà con molte indicazioni».

Cosa ha provato davanti alla morte di tanti suoi parrocchiani?

«Abbiamo messo a disposizione dei feretri una delle chiese di Codogno. Lo spettacolo non è stato piacevole. Abbiamo avuto anche 20 bare contemporaneamente; un numero di decessi mai visto. Questo ha segnato l'esperienza della Pasqua, che per noi cristiani è la vittoria della vita sulla morte. La morte è il passaggio, non è la fine. Occorre guardare alla vita che continua, anche se bisogna fare i conti con la morte».

Come è riuscito a stare vicino ai suoi fedeli?

«Grazie ai mezzi di comunicazione, che hanno rappresentato davvero una riscoperta in questo tempo. Celebriamo la messa domenicale in streaming, quella feriale via radio. Senza comunicazione saremmo rimasti completamente isolati nel rapporto con i fedeli. E poi c'è stata una vicinanza anche attraverso il grande impegno di volontariato».

Come vi preparate al ritorno alla normalità?

«Temiamo che non sia a breve termine la piena normalità. C'è anche il timore del ritorno del virus in autunno, che ci fa domandare: torneremo a questa situazione? Ma intanto noi siamo pronti per riprendere nei termini consentiti. Certo, non sarà più come prima, a cominciare dalle mascherine, poi ci sono le distanze sociali.

Non sarà più come prima nemmeno in chiesa..

«Alcuni gesti non potremmo farli, come lo scambio della pace. Ma l'importante è che non sia chiuso il cuore. E se avremmo vissuto questo periodo con responsabilità, anche le persone non saranno più come prima. Se invece rimarrà la chiusura del cuore, la vita tornerà ad essere quella di sempre.

Ma avremo perso un'occasione».

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