Coronavirus

"Secretate il piano anti-Covid". E in piena crisi era incompleto

Pubblicati gli atti riservati del Cts. Il piano di risposta alla pandemia adottato nella versione finale solo il 2 marzo: 10 giorni dopo Codogno

"Secretate il piano anti-Covid". E in piena crisi era incompleto

Era passato un mese dalla dichiarazione dello “stato di emergenza”, oltre due dalle prime notizie dello scoppio dell’epidemia in Cina e una settimana da Codogno. L'Italia era già nel pieno della crisi, eppure non aveva ancora un “piano strategico” definitivo per fronteggiare un eventuale “scenario pandemico sul territorio nazionale”. Incredibile, ma vero. Sono l’esistenza di questo “Piano”, il ritardo nella sua realizzazione e la segretezza imposta al documento la maggiori novità che emergono dai verbali delle riunioni del Cts desecretati oggi da Palazzo Chigi. Un atto che molto può raccontare sulle scelte fatte durante le prime fasi dell’emergenza. E che è ancora avvolto da una nube di mistero.

Di un "Piano anti-Covid" se ne inizia a parlare solo nella riunione del 10 febbraio, una delle prime del neonato Comitato Tecnico Scientifico. Quel giorno gli esperti costituiscono un gruppo a supporto del Cts per “effettuare una ricognizione delle strutture, attrezzature e staff ad oggi disponibile” per “produrre modelli di risposa a diversi scenari possibili”. Nonostante sia passata una settimana dalla scoperta della positività dei due turisti cinesi a Roma, di pronto ancora non c'è niente. È tutto nelle fasi iniziali. Due giorni dopo, il 12 febbraio, Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento mostra ai colleghi i dati del suo studio. Si intitola “Scenari di diffusione di 2019-NCoV in Italia e impatto sul servizio sanitorio, in caso il virus non possa essere contenuto localmente”. All’interno le notizie sono allarmanti. Merler è convinto, al contrario di molti altri, che il coronavirus può arrivare in Italia e fare parecchi danni. Non c'è tempo da perdere. Due scenari ipotizzano 1 o 2 milioni di contagi, casi gravi che oscillano tra 200 e 400 mila unità e un fabbisogno di letti in terapia intensiva che variano tra i 60mila e i 120mila. Di morti non si parla, ma i calcoli di Merler prevedono tra i 35mila e i 60mila decessi. Come poi avverrà.

In quelle ore però il Cts e il ministero della Salute stanno ancora verificando quanti posti letto in rianimazioni sono attivi. Mancano ancora i dati relativi a tre regioni e non c’è chiarezza neppure sulla disponibilità di “posti letto per le malattie infettive", sui dati “relativi ad attrezzature" e altre informazioni necessarie "ad elaborare ipotesi di scenari di evoluzione dell’epidemia”. Una ricerca che forse poteva essere svolta prima, senza ritrovarsi a metà febbraio ancora in alto mare. Fatto sta che dopo aver letto i numeri di Merler, gli esperti decidono di chiedere ad un gruppo di lavoro interno di produrre, entro una settimana, una “prima ipotesi di piano operativo di preparazione e risposta ai diversi scenari”. È la genesi della strategia italiana. In quel momento sembra esserci tutto il tempo. Oltre i due cinesi non si sono verificate altre infezioni. Nove giorni dopo, il 21 febbraio, arriva però la doccia fredda: il Cts “prende atto della segnalazione proveniente dalla Lombardia di casi sporadici in via di conferma”. È Codogno.

Direte: almeno il “Piano” sarà pronto. E invece non sembra esservi traccia. Se ne torna infatti a parlare solo il 24 febbraio, in piena emergenza, ma giusto per sottolineare che “deve essere ancora completato”. Il comitato vuole ancora da discutere “la parte relativa all’allestimento delle rianimazioni” e l’argomento viene sottoposto “ad esperti del settore per un parere”. Intanto il tempo passa. L’epidemia è già esplosa, ma il salvifico “Piano” resta ancora una chimera. Solo il 2 marzo, quando i contagi sono già 1.835 e i morti 52, il Cts concorda di adottarlo nella versione ufficiale. È passato oltre un mese dalla dichiarazione dello stato di emergenza.

Da quel momento in poi il Cts chiederà all'Iss di rivedere ed aggiorare di dati almeno due volte. Ma la preoccupazione si concentra su un'altra importante questione: il "Piano" va reso pubblico? E i drammatici scenari sulla diffusione del morbo? Gli esperti del Comitato si pongono per la prima volta il “problema della diffusione del documento” il 24 febbraio. Tutti i presenti concordano nel tenerlo il più possibile riservato “onde evitare che i numeri arrivino alla stampa”. Il timore è che si diffonda il terrore tra gli italiani, visto che all'interno sono contenuti anche i calcoli di Merler sulla possibile enorme diffusione del virus. In fondo, con ogni probabilità, è questo il “Piano” di cui parlerà più avanti Andrea Urbani, presente a quella riunione, in una intervista al Corriere della Sera. Per il direttore generale del ministero, all'interno vi erano descritti tre scenari, "uno dei quali troppo drammatico per essere divulgato senza scatenare il panico fra i cittadini”. Va detto che sull'effettiva esistenza di questo documento nei mesi scorsi è stata fatta molta confusione, ma oggi una cosa sembra è certa: il “Piano pandemico” esiste, anche se è stato prodotto in ritardo. Ed è ancora segreto.

Ultima postilla e piccolo mistero. Dal verbale del 9 marzo emerge un fatto cuorioso. Quel giorno infatti gli esperti del Comitato ritengono opportuno mettere per iscritto, "ai fini della informazione alla popolazione", che "il Cts, in collaborazione con il ministero della Salute e l’Iss, si è da tempo dotato di un ‘Piano sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19’ e che tutte le sue azioni fino ad oggi suggerite ed adottate sono coerenti con i diversi stadi di sviluppo previsti dal piano”. Eppure, come visto, l’approvazione definitiva e completa era avvenuta solo cinque giorni prima. In piena crisi.

O si tratta di due documenti diversi, oppure qualcosa non torna.

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