Colle "ago della bilancia" Conte è troppo debole e Mattarella lo soccorre

Sul caso Diciotti il capo dello Stato aiuta il premier a contenere Salvini ed evitare guai

Colle "ago della bilancia" Conte è troppo debole e Mattarella lo soccorre

N o, per carità, «nessun ingerenza» sul governo, solo una normale, ordinaria «moral suasion». La chiamano così al Quirinale la telefonata di Sergio Mattarella a Palazzo Chigi che l'altra sera ha sbloccato il caso Diciotti, risolto un conflitto tra poteri ed evitato il crac della maggioranza gialloverde. Matteo Salvini si è «stupito» per l'intervento del presidente? Sta cercando una rivincita? Su questo dal Colle non ci sono commenti, ci si limita a sottolineare che «non esistono pregiudizi» nei confronti del ministro dell'Interno. Anzi, i rapporti, se non amichevoli, sono «nei binari», come ha dimostrato il recente faccia a faccia sull'immigrazione con l'accenno all'agibilità politica delle Lega dopo la sentenza della Cassazione sui 49 milioni di rimborsi da restituire.

Certo, il colloquio con Giuseppe Conte doveva restare segreto. A farlo uscire, si apprende da fonti parlamentari, sarebbe stato proprio il Viminale, che così è uscito con pochi danni politici da una situazione molto intricata. Pure il premier però ne ha beneficiato, riuscendo a imporre una scelta grazie alle spalle ben coperte dal capo dello Stato.

Ma forse Mattarella dovrà presto fare un'altra telefonata. La Diciotti è alle bitte del porto di Trapani, la magistratura sta ancora indagando, il governo cerca di ricompattarsi e già si apre un altro caso: un imbarcazione con 450 persone sta navigando verso l'Italia dopo aver atteso per ore l'intervento della guardia costiera maltese. «Sappiano Malta, gli scafisti e i buonisti di tutta Italia che questo barcone in un porto italiano non può e non deve arrivare. Ci siamo capiti?», twitta il Salvini furioso. Come andrà a finire?

Il Quirinale stavolta non vuole metterci bocca. Mattarella non intende esercitare di nuovo la sua moral suasion, un po' perché la prima dovrebbe bastare, un po' perché non può toccare al capo dello Stato decidere volta per volta quali navi far attraccare e quali no. Il punto è proprio questo, la mancanza di un indirizzo generale comune da parte del governo. Come si è visto bene nell'ultima settimana, nell'esecutivo convivono almeno tre linee diverse sull'emigrazione. Quella dura di Salvini, quella europeista-quirinalista del ministro degli Esteri Moavero, e quella più sensibile all'accoglienza dei ministri Cinque stelle Toninelli, Trenta e in parte Di Maio.

In questi casi la mediazione politica spetta al presidente del Consiglio, che però non è ancora riuscito ad esercitare la sua leadership. Nei giorni scorsi il premier, dopo una serie di esternazioni divergenti dei suoi ministri, ha provato a richiamare la compagine a una maggiore collegialità. Tentativo fallito, vanno ancora tutti in ordine sparso.

Da qui il lavoro di supplenza riservato del Quirinale, che agisce come uno stabilizzatore: un giorno deve frenare la Lega sui migranti, un altro, attraverso il ministro Tria, moderare M5s sull'economia. Un ruolo di copertura che potrebbe espandersi nelle prossime settimane, se come prevedibile si apriranno altri contrasti nella maggioranza su questioni importanti.

In questo quadro, la telefonata dell'altra sera è stata «una scelta obbligata». Lì, alla banchina di Trapani, dove troppi ministeri e troppi corpi dello Stato avevano voce in capitolo, si stavano superano le barriere tra le varie competenze e si poteva aprire una crisi politica e tra poteri.

Tra l'altro, come si fa a chiudere un porto italiano a una nave militare italiana? Il giorno dopo Gigi Di Maio si schiera con Mattarella: «Ha sbloccato la situazione». E Roberto Fico: «Gli interventi del presidente sono sempre positivi, ma il governo è unito, tutto sotto controllo». Sarà.

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