Colle, decisivi i grillini in fuga. E altri 17 rischiano l'espulsione

Corte serrata di renziani e vendoliani, ma prende corpo l'ipotesi di un nuovo gruppo autonomo di una ventina di dissidenti. Intanto Salvini boccia il nome di Amato: "È l'ultimo che voterei"

Beppe Grillo e Luigi Di Maio
Beppe Grillo e Luigi Di Maio

Il pallottoliere è già impazzito, con gli esperti al lavoro per simulare la traiettoria del nuovo tsunami M5S, ben diverso da quello vagheggiato da Grillo. Un cataclisma che apre una voragine dentro i Cinque stelle, a partire dai gruppi in Parlamento, e che è destinato a condizionare l'elezione del nuovo capo dello Stato. I due eventi quasi si incrociano tra loro per un'imprevedibile coincidenza, con le dimissioni di Giorgio Napolitano date ormai per certe tra poco più di un mese, entro metà gennaio (così viene letta la comunicazione data dal presidente della Repubblica ai presidenti delle due Camere circa la sua assenza alle commemorazioni per la giornata della Memoria del 27 gennaio prossimo).

E così, sui calcoli delle maggioranze possibili per un nuovo capo dello Stato in quota renziana, piombano i nuovi numeri dei grillini, specie alla Camera. Lì, nel gruppo dei nuovi espulsi Artini e Pinna (formalmente non ancora, perché dovrà ratificare il capogruppo, che non fa parte degli ortodossi, ma solo dopo il voto di tutti i deputati), si prevedono fortissime turbolenze. Almeno una ventina, ma forse di più, sono i deputati ostili alla svolta del «Direttorio», con i cinque «talebani» scelti da Grillo come vicecapetti del movimento, e la minaccia di epurazioni sommarie al minimo dissenso. Un numero sufficiente a formare un gruppo parlamentare a sé, diverso dal M5S. Una scissione in atto che molti, tra i grillini, danno per imminente. Anche perché mercoledì si riunirà l'assemblea degli eletti alla Camera per valutare altre proposte di espulsione. Un fiammifero in un pagliaio pronto ad esplodere. Per 17 deputati M5S è pronta la trappola della «mancata rendicontazione», la scusa – smentita, bonifici alla mano, dagli accusati – che permette di far fuori quelli non allineati con Grillo, Casaleggio e i loro fedelissimi. Due di loro, i deputati Bechis e Barbanti (casualmente entrambi contrari ai diktat del blog), sono anche accusati di non tenere il rapporto col territorio, mentre un paio di «talebani» non in regola con i versamenti, verrebbero salvati. Sommando tutti gli epurandi ai deputati già espulsi o fuoriusciti nei mesi precedenti e confluiti nel Misto e Sel, vale a dire cinque onorevoli, il gruppo dei grillini anti-Grillo alla Camera inizia ad assumere proporzioni rilevanti. Mentre al Senato, dove da inizio legislature il M5S ha già perso 15 senatori, sono previste nuove uscite. Una scissione di fatto già avvenuta, che potrebbe restare sotto forma di scontro interno (una minoranza M5S) o tradursi in una nuova formazione parlamentare. Del resto è la stessa linea integralista di Grillo e Casaleggio a spingere per la separazione: meglio averne meno, ma tutti allineati. Il soldatino Di Maio: «Scissione? Facciano quello che vogliono».

Con che ripercussioni sulla partita del Colle? I rapporti tra gli scout del Pd renziano a caccia di voti e i grillini dissidenti ci sono, ma deboli. Traghettarli nell'orbita del Pd non sarà affatto un'impresa semplice, come già si è potuto verificare con i precedenti fuoriusciti, corteggiati da sinistra ma senza risultati. Gli ex grillini nel Misto (sia al Senato che alla Camera) votano quasi sempre con l'opposizione. Con qualche eccezione, come il senatore ex M5S Luis Orellana, che sul Def (Documento di economia e finanza) ha votato con la maggioranza, scatenando la furia degli integralisti («Schifo, verme, vergogna»). Il trattamento previsto per chi «si vende» al Pd, un altro incentivo a mantenere le distanze. I più ottimisti, invece, prendono nota di alcuni particolari. Come l'amicizia personale tra Renzi e il grillino espulso Artini, toscano di Figline Valdarno, ex compagni di scuola. O il discreto rapporto tra il premier e Pizzarotti, sindaco (per ora) M5S, visto come il referente dell'ala ribelle («ma lui non ha nessuna voglia di farlo, è troppo impegnato con Parma» dice uno dei suoi). Il dialogo più avviato, raccontano invece in Trasatlantico, è quello con la minoranza non renziana del Pd, in particolare con Pippo Civati.

In cerca di nuovi voti anti Renzi, anche in chiave Quirinale, mentre Matteo Salvini boccia il candidato del Cav, Giuliano Amato («È l'ultimo che voterei»). Per convergere su un nuovo presidente che blindi la legislatura e scacci lo spettro (utilissimo invece al premier) di un voto anticipato. Anche perché tutti gli ex grillini, chi li candida più.

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