Un «capo politico» (leggi Berlusconi) al Quirinale? Giammai, mette le mani avanti Enrico Letta: «Rivedendo i dodici presidenti della Repubblica che abbiamo avuto non si trova nessun leader di partito. Sono stati tutti figure istituzionali, e non è un caso: la figura richiede spiccato senso delle istituzioni», spiega al Sole 24 Ore. La paura del Cavaliere e della sua possibile corsa al Colle, che farebbe saltare gli schemi di gioco di tutti i partiti, sta diventando un incubo per il Pd, che teme di «essere preso alla sprovvista», come spiega un senatore. Non solo dal movimentismo berlusconiano, ma anche da quello renziano: il timore che si affaccia, nei conversari dei vari dirigenti dem, è che l'ex premier nonché ex segretario, oggi leader di Italia viva, si sia rassegnato all'idea che l'unico jolly possibile sia Mario Draghi, e che si prepari a lanciarlo in pista insieme al centrodestra, anticipando il Pd che non potrebbe che accodarsi. «Letta dice che il presidente non è mai stato un leader politico? Ha scoperto l'acqua calda, come la Meloni che evoca un patriota. Ciampi, Napolitano e Mattarella sono patrioti, e noi li abbiamo votati», dice Renzi. Che poi auspica «una maggioranza più larga» per il Colle, pur notando che «non è necessario» che maggioranza di governo e di Quirinale coincidano.
Non è un caso, quindi, se Letta, che aveva assicurato di voler mantenere il silenzio sul tema fino a gennaio, lo stia invece incrinando sempre più di frequente. E non è un caso che ieri abbia evocato la figura retorica del «kingmaker collettivo», riconoscendo che «stavolta abbiamo solo il 12-13% dei grandi elettori, quindi non possiamo essere noi i kingmaker, come in tutte le ultime occasioni».
Insomma, fa capire: se di qui a gennaio sarà chiaro che l'unico candidato di «larga maggioranza», capace di disinnescare la mina vagante costituita dal Cavaliere, è Draghi, il Pd vuole essere alla testa dell'operazione, e non a rimorchio. E fin da subito: «Un presidente eletto con solo 505 voti, come fu Leone, sarebbe un vulnus molto grave». L'accordo dunque va costruito dall'inizio, dopo le tre votazioni col quorum dei due terzi, perché il successore di Mattarella va eletto «nei primi quattro o cinque scrutini: il paese non reggerebbe un lungo conclave con decine di votazioni».
Anche Giuseppe Conte vorrebbe far la parte del kingmaker, e ha preannunciato (forse per fregare sul tempo Letta) un'«iniziativa comune» di Pd e M5s.
Teme di essere scavalcato da Beppe Grillo, che si diverte a far sapere, come raccontava ieri il Foglio, di «sentirsi spesso» con il premier (si può immaginare quanto sia contento Draghi delle sue telefonate), e di volerlo al Colle: «Sarebbe una garanzia, ce lo vedrei bene». A patto, ovviamente, che non ci siano elezioni anticipate: «Non si può votare in questo casino». E non si sa se si riferisca al Covid o ai Cinquestelle.
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