D ieci giorni e poi tutti a casa: Sergio Mattarella scioglierà le Camere tra la conferenza stampa di Paolo Gentiloni e l'ultimo dell'anno, cioè tra il 29 e il 30, così il premier resterà in carica senza dimettersi almeno fino al 4 marzo. Dunque il «prima» è già stato stabilito. Quanto al «dopo» nessun problema, il capo dello Stato è «sereno», animato da «fiducia» e convinto che si troverà una soluzione per il nuovo governo, grazie al «doveroso concorso di ciascuno alla vita istituzionale e sociale della Repubblica». Quale? Semplice: Gentiloni. E la maggioranza? «Il prezioso assetto pluralistico che ci assegna la Costituzione suggerisce e richiede consapevolezza dell'interesse generale». Insomma, pure le larghe intese.
Corazzieri in alta uniforme, bandiere, Di Maio in prima fila, la Boschi in seconda, Salvini in terza. Solo due assenti illustri agli auguri di Natale, Berlusconi e soprattutto Renzi, un piccolo sgarbo di protocollo figlio del freddo calato con Mattarella dopo la proroga di Visco. «Siamo al crocevia - annuncia il presidente - il processo elettorale sta per avviarsi». Votare non è mai un dramma, anzi è «il momento più alto della democrazia, da affrontare con fiduciosa serenità». Non ci saranno vincitori? Rischiamo l'ingovernabilità? Toccherà risciogliere subito il Parlamento e rivotare a giugno? E chi l'ha detto? Basteranno «coraggio e lungimiranza, indicazione di obbiettivi e percorsi adeguatamente approfonditi».
Prendiamo il 2017. Si poteva votare dopo il referendum, Renzi ha detto che l'avrebbe preferito perché aspettare ha fatto perdere consenso al Pd. Però l'ultimo anno di legislatura, gli risponde secco il presidente, oltre a dare «il giusto ritmo» alla democrazia, «ha registrato importanti obbiettivi, ha agevolato la ripresa economica, confermando la capacità del sistema di uscire dalla grave crisi che abbiamo affrontato e ha consentito di approvare una legge elettorale con regole omogenee». Non è stato tempo perso, ma «un anno intenso», una buona base.
E ora comincia «un momento di confronto serrato, di competizione». Niente di strano, la dialettica può, forse deve, essere anche aspra. Quello che non si può fare è prendere in giro i cittadini, magari con idee strampalate come l'uscita dall'euro e il taglio delle pensioni sopra i 2.500 euro suggerito da Di Maio. «Mi auguro che vengano avanzate proposte comprensibili, capaci di suscitare fiducia, sviluppando un dibattito intenso, anche acceso ma rispettoso». Questa è la strada «per ridurre l'astensionismo e la disaffezione per la vita pubblica».
Un discorso breve, cinque cartelle, però sufficiente per diffondere un po' di «realistico ottimismo». Mattarella si spinge pure ad indicare a grandi linee un possibile programma di governo. «La diffusa e comune responsabilità repubblicana - spiega - impone di riflettere sul crinale storico in e definire un'idea del nostro Paese nel futuro». Quindi, tra i compiti del prossimo premier ci sarà al primo posto «l'elaborazione di linee di sviluppo ed economico che rispondano ai mutamenti sociali e tecnologici, considerando «le esigenza di sicurezza, di equità e di sostenibilità ambientale».
Chiude parlando degli episodi di razzismo e antisemitismo, «ma abbiamo gli anticorpi». E sull'Europa: «La nostra voce risulterà tanto più autorevole se sapremo fornire l'immagine di un Paese unito, stabile e capace di mantenere gli impegni».
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