Colle, tutti in pressing su Draghi. "Dica cosa vuol fare a gennaio"

L'ex Bce tace e tiene aperta la porta del Quirinale. Ma sale l'irritazione dei leader. Da Letta a Salvini: faccia chiarezza

Colle, tutti in pressing su Draghi. "Dica cosa vuol fare a gennaio"

Quirinale sì o Quirinale no? Se Mario Draghi si guarda bene dal dire una sola parola pubblica che abbia a che fare con la partita del Colle, continuano a moltiplicarsi gli attestati di stima di chi auspica che l'ex numero uno della Bce prosegua nel suo impegno contro la pandemia e metta in sicurezza il Paese grazie al Pnrr. Uno scenario nel quale, non certo incidentalmente, il premier dovrebbe rimanere a Palazzo Chigi e mettere quindi da parte le sue legittime ambizioni quirinalizie. Il primo ad aprire il vaso di Pandora è stato Giancarlo Giorgetti, ormai due mesi fa. L'ultimo, solo ieri, Matteo Salvini («sta lavorando bene da presidente del Consiglio e mi auguro vada avanti a lungo»). In mezzo, un elenco che è andato lievitando di giorno in giorno e che, probabilmente, continuerà a crescere finché, a metà gennaio, il Parlamento in seduta comune non si riunirà per eleggere il successore di Sergio Mattarella. Si è pronunciato in questo senso Silvio Berlusconi. Ma pure Luigi Di Maio, Carlo Calenda e, seppure un filo meno assertivo, Matteo Renzi hanno usato parole e ragionamenti simili. Una sorta di corale appello al premier. Che in alcuni casi è però la spia di una certa insofferenza per come l'ex banchiere centrale sta gestendo la partita del Colle in queste ultime settimane. Muovendosi in totale autonomia e tenendo i leader di partito a distanza siderale. Nelle consultazioni in corso in queste ore sulla manovra - ieri l'incontro tra Draghi e il M5s, mentre oggi toccherà a Lega, Forza Italia e Pd - è stato proprio Palazzo Chigi a chiedere che le riunioni si limitassero a capidelegazione e capigruppo. Senza coinvolgere, quindi, i segretari di partito. Cosa che ha scontentato un po' tutti, da Salvini a Enrico Letta passando per Giuseppe Conte. E proprio i primi due, peraltro, in privato iniziano a manifestare più di un dubbio su come Draghi sta gestendo il delicatissimo dossier del Quirinale. Perché, cominciano a dire sottovoce, «è arrivato il momento che inizi a farci capire cosa davvero vuol fare a gennaio». Ed è proprio per questo che ieri Salvini ha deciso di provare a stanarlo auspicando una sua «lunga» permanenza a Palazzo Chigi. Un'insofferenza condivisa anche dal segretario del Pd, preoccupato dalle possibili conseguenze sul governo.

Nessuno, ovviamente, si aspetta da Draghi un annuncio pubblico. Ma un qualche segnale informale sì. Anche perché finché l'ex Bce tace, tutta la politica è congelata. Una paralisi, peraltro, che crea incertezze e nervosismi che - se alla fine Draghi dovesse restare a Palazzo Chigi - a febbraio potrebbero esplodere proprio sulla sua testa. Una tensione, questa, che rischia di complicare una sua eventuale «candidatura» quirinalizia.

Che per andare in porto ha bisogno di un king maker che la metta pubblicamente in campo, ma pure della disponibilità dei partiti che oggi sostengono il governo. Perché senza un grande accordo di tutti affinché la legislatura faccia il suo corso fino al 2023 è davvero difficile immaginare che Draghi possa avere qualche chance.

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