Le migliori imitazioni di Giuliano Poletti sono di Maurizio Crozza e di un altro Maurizio, quel Ferrini, romagnolo come lui, che gli fa dire: «Se mi hanno mandato ci sarà pure un motivo, o no?». Ci saranno anche state valide ragioni perché il ministro del Lavoro sia restato al suo posto nel governo Gentiloni, ma il fatto che, nel giro di pochi giorni, abbia realizzato due clamorosi autogol fa sorgere più di un dubbio sulla sua riconferma alla guida del dicastero di via XX Settembre. A dire il vero, neppure ai tempi di Renzi, il nostro uomo aveva brillato in «finesse», soprattutto nei confronti dei giovani alla disperata ricerca di un'occupazione. Già l'anno scorso se ne uscì, infatti, con un: «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve un fico, è meglio prendere 97 a 21», affermazione piuttosto opinabile di questi tempi, visto che i nuovi laureati, almeno in Italia, non trovano comunque lavoro e restano, loro sì, appesi a un fico. Ma il fortunoso incarico-bis, che nel primo toto-ministri, subito dopo le dimissioni di Matteo, appariva assai improbabile, sembra abbia dato nuovo slancio alle esuberanze dialettiche del redivivo Poletti. Infatti, non più tardi di una settimana fa, con i renziani a leccarsi le ferite dopo il 4 dicembre, l'ha sparata subito grossa. Se ne è uscito con una vera perla: facciamo le elezioni politiche in primavera in modo da disinnescare, così, i referendum abrogativi di alcune parti del Jobs Act, eliminazione dei voucher compresa, per i quali la confederazione dell'«amica» Camusso ha raccolto oltre tre milioni di firme. Una furbata alla Renzi venuta a galla senza che il ministro si rendesse conto quanto fosse pericoloso svelare il giochetto per far slittare di un anno la consultazione referendaria. Quasi una bestemmia, poi, nella bocca di Poletti considerando che, per oltre dieci anni, è stato presidente nazionale della Legacoop, le coop rosse, e che, fino a prova contraria, dovrebbe quindi essere un «compagnuccio della parrocchia» dei militanti della Cgil. Senza contare che stavolta i sindacalisti non hanno, poi, tutti i torti come dimostrano gli ultimi dati sul crollo delle assunzioni a tempo indeterminato. Il ministro del Lavoro ha sollevato un polverone infinito che ha messo in serio imbarazzo persino il premier appena insediato a Palazzo Chigi. E lo stesso Giuliano, poche ore dopo, ha dovuto correggere il tiro: «La mia, era solo una constatazione». Ma Poletti è, evidentemente, abbonato alle «constatazioni» perché lunedì, a proposito dei cervelli in fuga, ha commesso un'altra gaffe: «Conosco gente che è meglio non averla tra i piedi». Mi viene, a questo punto, il forte sospetto che, con simili affermazioni, anche la materia grigia del ministro sia inopinatamente fuggita all'estero. A suo tempo, c'eravamo tanto lamentati dei «bamboccioni» del povero Tommaso Padoa-Schioppa e delle amenità sabaude della Fornero, ma il Giuliano di Imola ( già Romagna anche se in provincia di Bologna) sta proprio superando tutti i suoi predecessori.
Con un particolare in più che aggrava la situazione: le ultime boutade stanno arrivando nel momento congiunturale forse più brutto del Paese, tra frotte di immigrati che sbarcano in Sicilia e giovani laureati di casa nostra che cercano un posto all'estero. Di questo passo, mi chiedo fino a quando, a loro volta, gli italiani avranno tra i piedi il ministro Poletti.
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