Nicolò Maja a quasi un mese dallo sterminio della sua famiglia da parte del padre si è svegliato dal coma.
Ha aperto gli occhi e mosso delle dita. Piccoli segnali, per ora, che fanno ben sperare. Rimane il fatto che il 23enne dovrà scontrarsi con una realtà tremenda. Quella del papà Alessandro che nella casa di Samarate ha ucciso la moglie Stefania, 56 anni, che dormiva sul divano al piano terra e la sorella Giulia, di 16 anni, che ha provato anche a difendersi, come dimostrano le ferite alle mani, dopo essere stata sorpresa nel sonno mentre era nella sua camera al piano superiore. Poi l'architetto ha colpito il ragazzo al volto e soprattutto sulla testa con cacciavite e martello e ha smesso solo credendo di averlo ucciso.
«Nicolò è decisamente migliorato e sembra davvero riesca a rispondere, anche se a gesti, alle domande ha commentato l'avvocato Stefano Bettinelli una notizia bellissima, seppure la prognosi non sia stata ancora sciolta e il percorso sarà molto, molto lungo». L'assassino, reo confesso, inizialmente dichiarato incompatibile con il carcere per le sue condizioni psichiatriche, è rientrato nel penitenziario monzese, sulla base della decisione dei medici. La sua difesa ha già chiesto che venga sottoposto a perizia psichiatrica. «Gli abbiamo comunicato che Nicolò ha dato segni di miglioramento, che si è mosso - ha detto l'avvocato, Enrico Milani, che ieri è andato a trovarlo in prigione - e lui ha reagito con una parvenza di sorriso, ma è come se vivesse in un mondo tutto suo». Nessuna novità eclatante è entrata in queste settimane a far parte del fascicolo della procura di Varese, che coordina le indagini dei carabinieri del Comando provinciale. Nell'interrogatorio delirante che ha avuto in carcere Maja, titolare di una società di ristrutturazione e interior design a Milano, ha ripercorso passo dopo passo quella tragica sera, fino alla mattanza.
«Mi sentivo un fallito, responsabile di non poter garantire lo stesso tenore di vita alla famiglia in futuro, ma non so perché ho agito così», ha spiegato al giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio Piera Bossi.
In casa se la prendeva spesso con moglie e figli che accusava di spendere troppo. Era ossessionato dall'idea di rimanere senza denaro. Ma la sua situazione finanziaria è stata passata sotto la lente d'ingrandimento, sono stati controllati i suoi movimenti bancari e sono stati ascoltati i due commercialisti che lo seguivano. Non ci sarebbero riscontri tangibili alle sue parole anche se non è escluso che possa aver fatto movimenti rischiosi usando denaro in nero. O potrebbe anche aver contratto debiti con chi non doveva. Ma queste sono solo ipotesi al momento perché il silenzio e la condizione mentale del 57enne non aiutano a sapere qualcosa in più.
I genitori di Stefania sono certi che lui abbia inscenato il suicidio, procurandosi solo ferite lievi, e che ora voglia passare per una persona incapace di intendere e di volere, quando invece, secondo il loro parere, la strage
era stata premeditata da tempo. «Se ci si sente oppressi dai debiti, come spesso accaduto - ha detto l'avvocato Stefano Bettinelli, legale della famiglia di Stefania Pivetta - ci si uccide ma non si ammazza la famiglia».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.