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Un colpo ai terroristi E sul lungo termine la pace sarà più facile

Un colpo ai terroristi E sul lungo termine la pace sarà più facile

È stupefacente che l'eliminazione di Qassem Soleimani venga quasi ovunque in queste ore valutata per i pericoli per la pace che potrebbe comportare senza considerare i reali disastri di guerra che la sua vita ha causato. E di conseguenza, è assurdo non considerare che, nel lungo termine, è certamente portatrice di pace la scomparsa dalla scena politica del capo iraniano delle milizie Quds che ha affermato durante un'intervista del 2009 che «il vero paradiso perduto dell'uomo è il fronte di guerra».

Qassem Soleimani è stata la causa basilare del volgersi dell'Iran, che certo già lo possedeva nel suo dna, verso il terrorismo, verso una scelta persian-imperialistica e soprattutto verso il messianismo dello Stato Islamico. Abbiamo conosciuto quello sunnita dell'Isis; terrificante e orrido, ma piccolo e alla fine sconfitto. Quello di Qassem Soleimani, era già padrone del Medioriente e volto a conquistare il mondo: lui si vantò che era già grande 500mila chilometri quadrati, e aveva ragione. Iraq, Libano, Siria, Gaza, Yemen e non solo, oltre naturalmente all'Iran stesso, lui li aveva soggiogati con mezzi diversi, al cui centro però troviamo sempre le armi e l'odio ideologico. Di centinaia di migliaia di missili aveva riempito gli hezbollah, diventando amicissimo di Nasrallah; con le armi aveva difeso Bashar Assad, che senza il suo aiuto non sarebbe sopravvissuto. E anzi, l'impegno iraniano contro l'Isis tanto vantato, nasce nella difesa strenua dell'assassino Assad anche se Soleimani ha combattuto bene la sua guerra contro il Califfo in nome degli Ayatollah. Da ragazzino combatteva contro l'Iraq, e poi da comandante nel 2003 ha cominciato la strada per farlo suo. La sua guerra con l'Isis non è stata parte del consueto scontro sciita-sunnita, che Soleimani sapeva mettere da parte quando gli conveniva, come nel caso del rapporto con Hamas e con la Jihad Islamica di Gaza, o persino al tempo in cui Bin Laden era nascosto in Iran. Anche Ismail Hanijeh, capo di Hamas, anche lui sunnita, ha visitato e tenuto summit importanti a Teheran. Soleimani sarebbe stato il prossimo presidente Iraniano, un nuovo fanatico Ahmadinejad molto migliorato per valore e cultura, sostenuto dal potere religioso e da quello militare; ha creduto di poter fare tutto quello che gli pareva da leader carismatico e abilissimo. Aveva approfittato per crescere della guerra in Iraq, poi della guerra siriana. Il generale Petreus dichiarò che vedeva in lui un'incarnazione del male e riporto che gli aveva detto «generale, lei dovrebbe sapere che io, Qassem Suleimani, controllo la politica iraniana in Iraq, Libano, Gaza, Afghanistan». E a Trump disse in video «presidente, attento, lei può cominciare una guerra ma non potrà finirla». Era un tipo così: si dice che commissionò un cartello della droga messicano per uccidere un magnate saudita. Capo delle milizie Al Quds, le guardie della Rivoluzione dal '98, nel 2009 le ha usate per sparare sulla sua folla in rivolta, e anche durante queste ultime manifestazioni non è stato da meno. Ma ultimamente, con gli Stati Uniti, ha sbagliato il passo: ha attaccato i tank petroliferi nel Golfo, ha buttato giù un drone e attaccato i sauditi dallo Yemen, avrebbe dovuto capire il contrattacco di Trump agli hezbollah iracheni dopo l'uccisione di un americano era dovuta; invece ha fatto il gradasso di nuovo mettendo il dito in una piaga. Nessun presidente avrebbe accettato l'aggressione all'ambasciata di Baghdad dopo quelle antiche di Teheran e Benghazi. E lui l'ha fomentata.

Può portare alla guerra la sua uccisione? Al momento può portare a una vendetta, ma gli iraniani ci penseranno due volte. Trump segnala che non è un chiacchierone. Israele ha riunito il Gabinetto di sicurezza.

Sono tutti d'accordo: Soleimani era il primo motore del terrorismo dell'area.

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