Un colpo all'idea di Stato (e due all'idea di Europa)

C on il voto di ieri la Catalogna ha deciso di accelerare. Dopo che un anno fa il governo spagnolo aveva impedito al governatore catalano Artur Mas di indire una consultazione popolare sull'indipendenza, i partiti secessionisti hanno deciso di sciogliere l'assemblea regionale (la Generalitat) e trasformare la rielezione in un referendum pro o contro la secessione. Hanno quindi costituito una lista unica, che va dalla destra alla sinistra, e trasformato il rinnovo del parlamento in una specie di referendum. La questione è molto seria, dal momento che la Spagna è una delle grandi realtà storiche dell'Europa occidentale: una delle culle dello Stato moderno e dell'assolutismo. Non è un caso che la Costituzione post-franchista del 1978 includa due articoli (l'articolo 2 e 10) che negano ogni possibilità di distacco di una parte della Spagna e autorizzano perfino l'intervento dell'esercito quando una regione intende andarsene. Per questo, a essere in discussione non è solo la Spagna, ma lo stesso Stato sovrano e territoriale, il quale si autorappresenta perpetuo e considera immutabili i propri confini. Lo scontro tra Madrid e Barcellona è netto: da un lato abbiamo infatti una larga parte della popolazione catalana, la quale intende avere istituzioni proprie e soprattutto vuole che sui confini sia il popolo a esprimersi, nella persuasione che in una società libera le istituzioni politiche non possono essere prigioni; dall'altro, invece, abbiamo quanti ancora credono nel mito della statualità, nell'idea che la Spagna non sia un accidente storico tra gli altri, ma un'entità metafisica che trascende gli spagnoli stessi e deve restare in vita a qualsiasi costo. Solo qualche mese fa in Scozia si è votato sulla possibilità di uscire dal Regno Unito, così come ben due volte in passato la popolazione ha potuto esprimersi nel Québec francofono, che da sempre è provincia canadese. Il premier britannico David Cameron trovò plausibile la richiesta scozzese di votare e riuscì pure a vincere quella consultazione.

Mentre nel mondo anglosassone si considera insomma normale consegnare al popolo decisioni tanto spinose, in un Paese come la Spagna (ma anche in Francia o in Italia) permane un'anacronistica sacralizzazione delle istituzioni. Per questo in Catalogna è in gioco molto più che non il futuro dell'unità spagnola, perché un'eventuale secessione catalana avrebbe poco da spartire con il processo che ha portato alla nascita di Lituania o Slovacchia, sostanzialmente venute alla luce a seguito della dissoluzione del socialismo reale.

Non è un caso che l'Ue avversi l'aspirazione all'indipendenza dei catalani e abbia sempre ostacolato il riconoscimento di un pieno «diritto di voto» a questa popolazione.

L'Europa è figlia degli Stati nazionali e ne difende le prerogative. Ma la determinazione mostrata dalla leadership catalana in questi mesi, anche grazie al sostegno popolare, induce a pensare che il futuro dello Stato nazionale possa essere tutt'altro che roseo.

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