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Coltellate tra i 5s. Accuse ai ministri e fughe in vista

I contiani attaccano l'ala governista e aprono la caccia al traditore. Cancelleri pronto a unirsi a Di Maio, verso l'addio pure Bonafede e Buffagni

Coltellate tra i 5s. Accuse ai ministri e fughe in vista

Un travaglio di veleni, accuse e insulti accompagna il Movimento cinque stelle nel giorno dello strappo con il governo Draghi. Il gruppo al Senato regge: 46 senatori non rispondono alla chiama sul voto di fiducia al dl Aiuti, 15 sono in missione. I 61 senatori si allineano al diktat contiano. Decisione che determina le dimissioni (respinte dal capo dello Stato) del presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma al netto della compattezza del gruppo, le polemiche non mancano. Il fronte governista è il più bersagliato: ministri e sottosegretari sono accusati di essere filo-draghiani.

A gettare benzina sul fuoco, ecco che arriva Ergys Haxhiu, sconosciuto compagno del ministro grillino Fabiana Dadone che posta sui social una un fotomontaggio che ritrae il ministro Dadone nei panni della contestatrice che, nel 2015, saltò sul podio della conferenza stampa del direttivo dell'Eurotower lanciando coriandoli e fogli Draghi, allora presidente della Bce, al grido di fine alla dittatura.

Alessandro Di Battista, considerato dai governisti grillini il leader di fatto del Movimento, prova a rubare la scena a Conte: «Se davvero dovesse cadere il governo dell'assembramento (io non sono così sicuro) sarebbe un'ottima notizia». Pronostico sbagliato. Nella notte che precede lo strappo i ministri del M5s tentano la spallata contro l'ala oltranzista. Si cerca di far cambiare rotta al Movimento: missione fallita. All'alba, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d'Incà gioca la carta finale e mette sul tavolo l'opzione di evitare il voto di fiducia sul dl Aiuti e di votarlo per articoli. Palazzo Chigi rifiuta. Si va alla conta. E il M5s conferma in Aula il no alla fiducia. Decisione che si porta dietro i veleni. «Patuanelli voti la fiducia o si dimetta coerenza» attacca la parlamentare del M5s Federica Dieni. Che poi all'Adnkronos rincara la dose: «Abbiamo votato di tutto, a cominciare dai decreti Salvini sull'immigrazione, e non votiamo un provvedimento con 23 miliardi di aiuti per le famiglie? Io non capisco la ratio, davvero fatico a comprendere. Allora, se si è deciso di fare i duri e puri, chiedo coerenza: si sia conseguenti al non voto di oggi e i nostri ministri lascino il governo. Mi sorprende ci si accorga solo ora che non siamo ascoltati nel governo, lasciare ora è incoerente, non accadrà mai più di poter incidere, di stare dentro un governo con questo consenso, con i numeri che abbiamo in Parlamento. Non è questo il momento di andare all'opposizione, ma poi a fare opposizione su cosa? Sulle misure per fermare il rincaro delle bollette? Sui provvedimenti a sostegno di imprese e lavoratori? Io credo sia irresponsabile nei confronti del Paese. Per me non si deve andare a votare ora, né tantomeno aprire una crisi nel bel mezzo di un conflitto in corso, con la pandemia che ha ripreso a correre, con i rincari delle materie prime, il caro bollette».

Nel Movimento si apre la caccia al «traditore». La Dieni è tra i sospettati. Lei smentisce. Gli occhi si spostano sul viceministro Alessandra Todde. Anche qui arriva la smentita. Però i malumori crescono e nei prossimi giorni potrebbero esserci nuove fughe. A breve dovrebbe essere ufficializzato il passaggio tra i dimaiani del sottosegretario alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri. Stefano Buffagni e Alfonso Bonafede riflettono. Lo strappo sul dl Aiuti potrebbe avere come colpo di coda un'altra mini scissione con l'addio al Movimento di Buffagni, D'Incà, Cancelleri e Bonafede. I contiani non arretrano. E restano in assetto di guerra. «Chi farnetica di Papeete 2 ad opera del M5S si dimostra come sempre un mistificatore della realtà: noi oggi lasciamo agli altri la sedicente teoria di sedere dalla parte giusta della storia, noi invece sediamo convintamente dalla parte dei cittadini, e il nostro documento in 9 punti presentato da Conte a Draghi lo certifica» avverte Roberta Lombardi, assessore regionale M5s nella giunta Zingaretti. I falchi esultano. Il primo round è vinto.

Draghi getta la spugna.

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