Dinanzi a un'economia che non offre veri segnali di ripresa, la scelta del premier di puntare su una riduzione delle imposte - a partire da quelle sulla casa - appare opportuna. Proprio nei giorni scorsi la Cgia di Mestre ha confermato che in Europa non esiste una pressione fiscale più pesante di quella che grava sugli italiani. Riprenderemo ad avere fiducia solo se la quota di ricchezza sottratta dall'apparato pubblico verrà ridotta in maniera significativa. Il diavolo, però, si nasconde nei dettagli. Non è infatti chiaro dove Matteo Renzi pensi di trovare quei miliardi a cui intende rinunciare. Parlare, come fa, di eliminazione di enti inutili e cessioni di partecipate non basta se non si dice quanto s'intende mettere sul mercato. Sta pensando alla Rai? Non pare proprio, guardando la riforma in cantiere. Alle Poste? Nemmeno, dato che la riformulazione in atto prevede solo una parziale privatizzazione. Ferrovie? Improbabile. E che dire di Eni, Finmeccanica, Cassa depositi e prestiti, Anas e Istituto Poligrafico e via dicendo? È legittimo nutrire dubbi sul fatto che il proposito di privatizzare enti oggi controllati dallo Stato, dove le nomine dei vertici spettano alla politica, si traduca in fatti concreti. E questo perché la politica ha le sue leggi e il sistema di potere (non da oggi, ma da decenni) si regge anche su un'ampia distribuzione di prebende e favori. Forse non è davvero possibile restare in sella senza la possibilità di cooptare un pezzo del mondo confindustriale grazie alle risorse di cui dispone il settore parastatale e senza la possibilità di fare assumere centinaia di operai. In teoria, l'idea di tagliare le tasse accompagnando il tutto con cessioni di quote delle società partecipate sta in piedi. La scommessa è che nell'arco di qualche anno una diminuzione della presenza dello Stato nell'economia possa ampiamente compensare, sul piano delle finanza pubblica, il mancato incasso dell'Imu o di altre imposte. Contrariamente a quanto lascia intendere Renzi, che propone meno tasse «in cambio di meno Stato» (come se a tutti noi importasse che i pacchi o i treni restino a Poste Italiane e a Trenitalia...), gli italiani hanno tutto da guadagnare da un complessivo ridimensionamento delle entrate e delle uscite del settore pubblico. Senza un preciso elenco di cosa si vuole vendere e come, la proposta rischia di assomigliare a un artificio politico per ottenere consenso. Con un problema in più. È chiaro come lo stesso presidente del Consiglio sia scettico sulla sua capacità di avviare una massiccia cessione dei pachidermi di Stato; tanto è vero che intende accompagnare tutto ciò da un negoziato con l'Unione europea, al fine di ottenere uno sforamento del deficit. Sarebbe un grave errore: e non solo perché un'Italia tanto indebitata non può ignorare la necessità di ridurre, e non già incrementare, la mole di interessi da pagare.
Oltre a ciò, si deve davvero sfruttare al massimo questo progetto di taglio del prelievo fiscale per incidere sulla presenza dello Stato nell'economia. Ridurre le tasse è importante; sfoltire il settore pubblico è egualmente importante. Bisogna evitare facili scorciatoie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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