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Commercianti in allarme: "A rischio 70mila negozi"

Pesano le restrizioni anti-Covid. Ristoratori sul piede di guerra. Lo chef Vissani vuole incontrare SuperMario

Commercianti in allarme: "A rischio 70mila negozi"

Parlano di «figli e figliastri». Dicono che «la riapertura, così come è stata pensata, non è un vaccino ma una semplice aspirina». Il grido delle associazioni di categoria offusca l'ottimismo delle annunciate aperture dal 26 aprile, le cui regole privilegiano ristoranti e locali con spazi all'esterno. Confesercenti denuncia il rischio chiusura per 70mila negozi nel corso dell'anno a causa del crollo dei consumi e delle penalizzazioni, anche sui centri commerciali, di cui ha beneficato l'online. I ristoranti sono sul piede di guerra: «Chiederemo di sacrificare i parcheggi delle strisce blu a favore dei tavoli di bar e ristoranti, a questo punto è l'unico modo per salvare le aziende», dice Luciano Sbraga, direttore di Fipe Confcommercio di Roma. Nella Capitale «la metà dei titolari non ha tavoli all'aperto. È comprensibile che chi non sarà in grado di riaprire sia arrabbiato, soprattutto dopo mesi di inattività».

Temono una ripresa che rischia di essere più lenta delle attese. Del resto, il governo ha sempre parlato di «gradualità». Ma l'allarme è di un ulteriore affondo, già quantificato dal Consiglio nazionale dei commercialisti in una perdita di fatturato di 38,5 miliardi nel biennio 2020-2021 per ristoranti e alberghi. Il valore di una finanziaria. Preoccupazioni che arrivano proprio nel momento in cui arriva in Parlamento il Def e la relazione sullo scostamento di bilancio, necessario per finanziare il decreto sostegni bis. Un'iniezione di liquidità da 40 miliardi.

Ma intanto le attività chiedono una marcia indietro sulle regole. Ieri un sit-in di protesta di alcuni imprenditori del settore enogastronomico dell'Umbria fuori la villa di Mario Draghi, a Città della Pieve. «Chiedo al premier un incontro. Aprono i cinema al chiuso e i ristoranti no? Con tutti gli allestimenti che abbiamo fatto perché non possiamo aprire? Non possiamo sopravvivere così», attacca lo chef Gianfranco Vissani.

«Riaprire solo le attività che hanno i tavolini all'esterno significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi», accusa Confcommercio, secondo cui il 46,6% dei bar e dei ristoranti del Paese non ha spazi all'aperto e «questa percentuale si impenna se pensiamo ai centri storici delle città nei quali vigono regole molto stringenti». L'associazione punta su un protocollo rafforzato da un maggior distanziamento dei tavoli che consenta «una riapertura uguale per tutti». Perché «il vero problema è la sperequazione. La riapertura era il segnale che ci aspettavamo ma le regole non sono affatto quelle che volevamo. Se questo è il momento del coraggio, che lo sia davvero. I sindaci mettano a disposizione spazi extra per le attività che devono poter apparecchiare in strada ed evitare così di subire, oltre al danno del lockdown, la beffa di vedere i clienti seduti nei locali vicini». Per questo la Fipe si rivolgerà all'Anci per ridiscutere le regole sull'occupazione del suolo pubblico e tamponare le disuguaglianze: «Solo a Roma nel 2020 bar e ristoranti hanno perso due miliardi di euro, in questi primi mesi del 2021 sono andati in fumo altri 400 milioni di euro, per un totale di duemila imprese chiuse e ottomila posti di lavoro persi». Stessa situazione anche a Milano, dove Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio, conferma che «la metà circa dei locali sarà ancora costretta a stare chiusa». Nel capoluogo lombardo «quasi un locale su due non ha la possibilità di svolgere la propria attività all'aperto.

Questo penalizza fortemente quasi la metà dei locali milanesi creando un fortissimo disequilibrio che danneggerà ancora una volta migliaia di imprese».

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