«La giustizia è stata usata come arma politica contro di me. È stata una vera e propria lotta armata, mi sono dovuto difendere in 96 processi, con 105 avvocati». Silvio Berlusconi parla con Giancarlo Loquenzi a Zapping, su Radio1, delle ultime rivelazioni sulla sua condanna definitiva per frode fiscale e chiarisce: «Non abbiamo aspettato 7 anni per tirare fuori le dichiarazioni del relatore della sentenza in Cassazione, il giudice Franco, ma subito le abbiamo prodotte nel ricorso alla Corte di Strasburgo contro l'assurda sentenza della Cassazione e io stesso ne ho già parlato altre volte pubblicamente, senza mai fare nomi».
Il leader di Forza Italia racconta che quando andò da lui Franco «era un uomo dilaniato, fra una profonda crisi di coscienza e la preoccupazione delle conseguenze del suo gesto. Sapeva di sfidare poteri molto forti all'interno dell'ordine giudiziario, nel mondo della informazione e della politica. Ho cercato di tutelarlo, ma ora che è scomparso non c'era più motivo di mantenere la riservatezza. È giusto che gli italiani siano informati». Il Cav precisa anche che non capisce le critiche al magistrato, anche del presidente della corte Esposito, sul fatto che avrebbe potuto manifestare il suo dissenso nel collegio o comunicare i suoi dubbi al Csm. «Mi sembra ambiguo chi non si cura di smentire il dottor Franco sulla volontà del collegio di condannarmi comunque. Non vedo il motivo per cui il giudice non potesse parlare con un imputato non prima ma dopo la sentenza e senza nulla rivelare della camera di consiglio. Lui ha solo cristallizzato in modo incontrovertibile i pregiudizi nei miei confronti e la palese volontaria distorsione sull'invio del processo alla sezione feriale, invece che alla terza sezione, come previsto dalla Costituzione».
Quando gli chiedono della sentenza del tribunale civile di Milano che, secondo i suoi legali, consente di raccontare un'altra storia della vicenda Mediaset per cui è stato condannato l'ex premier conferma che il verdetto della Cassazione a suo parere viene contraddetto «in modo esplicito» da questa pronuncia. In un sistema che lascia spazio ai magistrati che vogliono fare politica, prosegue, è «indispensabile una profonda riforma della giustizia e la Anm, proprio per tutelare i tanti giudici per bene, dovrebbe appoggiare e non ostacolare la nostra battaglia per una commissione parlamentare d'inchiesta, per la verità è una giustizia giusta».
Sul caso Palamara (il magistrato ritratto nella foto tonda, ndr) e le degenerazioni del correntismo delle toghe, il Cavaliere dice che i traffici sulle nomine gli sembrano «molto diffusi» e aggiunge che «le parole di Palamara, che mi auguro vada fino in fondo, forniscono un quadro inquietante del funzionamento della giustizia».
Loquenzi gli chiede delle proposte di alcuni di Fi per una commissione d'inchiesta e per una sua nomina a senatore a vita e il Cavaliere risponde: «Spero che la commissione d'inchiesta si faccia e ringrazio chi ha proposto la mia nomina a senatore a vita, ma non cerco risarcimenti personali, cerco verità e giustizia». Non poteva mancare una domanda sui rapporti nel centrodestra e sulla sua presunta disponibilità a far parte di maggioranze diverse, oltre ai sospetti di sostegno ai giallorossi, dopo le lodi del premier Giuseppe Conte alla responsabilità dimostrata da Fi. Ma il leader azzurro sgombra il campo da «equivoci» creati soprattutto dal titolo della sua intervista a Repubblica. D'accordo con gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni anche lui è convinto che «la via maestra sono le elezioni». Però, aggiunge, c'è «una via subordinata». All'Italia servirebbe «un governo in sintonia con la maggioranza degli italiani, dotato dell'autorevolezza necessaria a gestire la crisi più drammatica del dopoguerra, un governo credibile in Europa e nel mondo, in grado di far ripartire il Paese facendo le cose che abbiamo indicato: uno shock fiscale per rimettere in moto l'economia, un grande piano di infrastrutture, la pace fiscale con gli italiani, il taglio della burocrazia superando il regime delle licenze preventive e il codice degli appalti». Poi obietta: «Non credo che sia possibile in questo parlamento, ma se fosse possibile il centrodestra unito dovrebbe ragionarci sopra».
Alla vigilia della manifestazione a Roma il Cav nega che ci siano nel centrodestra divisioni. «Non siamo - spiega- un unico partito, siamo tre diversi, ma abbiamo sempre dimostrato di essere capaci di trovare una sintesi. Noi siamo e saremo in futuro una forza unita che non si potrà dividere mai».
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