Politica

Le "comode rate" in 76 anni tra mugugni e ironia

Rispolverata la protesta di Salvini del 2005 contro la Lazio per il debito dilazionato a Lotito

Le "comode rate" in 76 anni tra mugugni e ironia

Centrodestra a parte, non molti hanno gradito la rateizzazione fino al 2095 concessa dalla procura di Genova alla Lega per estinguere il suo contenzioso da 49 milioni di euro con lo Stato. In tanti, più o meno giustizialisti, si aspettavano un trattamento più duro di quello accordato dall'intesa: e cioè 600mila euro l'anno per 76 anni per scontare l'accusa di truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali 2008- 2010.

Difende a spada tratta la Lega Mariastella Gelmini, capogruppo dei deputati azzurri alla Camera: «L'accordo è positivo perché scrive la parola fine a una storia che ha rischiato di incrinare le dinamiche democratiche del Paese». In controluce, oltre all'attacco a Matteo Renzi per la scelta di «schierarsi con i peggiori giustizialisti», si sente il sospiro di sollievo per la fine degli scontri con la magistratura.

Le critiche suonano più rumorose. Mentre il deputato pd Michele Anzaldi si chiede se «la Corte dei Conti non ha nulla da dire» ed Emanuele Fiano accusa i 5Stelle di «silenzio ipocrita su furto e rate», a commentare l'intesa in tranches tra Lega e Procura di Genova, riemerge dal silenzio l'ex pm ed ex ministro Antonio Di Pietro, protagonista della stagione delle inchieste di Mani Pulite. La rateizzazione «la posso giustificare, ma io non lo avrei mai fatto, perché la legge è uguale per tutti». Da esperto del tema, certo non da campione di garantismo nei confronti dei politici, eccolo annotare: «Non regge giuridicamente e formalmente, ma sul piano dell'opportunità prendo atto della necessità del magistrato di non apparire come contro chi sta al governo e ha un consenso elettorale, e quindi gli darei un'attenuante generica». Sarcasmo figlio della lunga frequentazione delle aule di giustizia.

Alle facili ironie politiche sulle «comode rate» si aggiunge un inatteso attacco in arrivo dai campi da calcio. Correva il lontano anno 2005 quando il trentaduenne Matteo Salvini scese in piazza per protestare contro la dilazione nel pagamento dei debiti della Lazio concessa a Claudio Lotito nel momento in cui acquistò la società. E oggi il presidente biancoceleste si toglie qualche sassolino dalle scarpe. «C'è differenza tra me e la Lega di Salvini» dice a Repubblica Lotito, non a digiuno dei meccanismi perché più volte sotto indagine. Ecco ciò che distinguerebbe il segretario della Lega dal patron della Lazio: «Io pago il debito fatto da altri e ogni anno verso 6 milioni al fisco. Salvini all'epoca protestava? Questo è un problema suo. Io l'ho fatto per salvare la Lazio».

In realtà la vicenda giudiziaria è tutt'altro che chiusa e non solo per i parlamentari della Lega che, come ha confermato Salvini, «cacceranno fuori ogni mese il cash, pagando per eventuali reati commessi dieci anni fa da chi c'era prima di me».

È attesa per il 20 novembre la sentenza della Corte d'Appello di Genova nei confronti di Francesco Belsito, Umberto Bossi e tre ex revisori contabili del partito.

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